Pompei Il quadro della Beata Vergine e Bartolo Longo
Il quadro della Vergine del Rosario ed Il Beato Bartolo Longo.
Il quadro della Madonna con il Bambino e, con ai lati, San Domenico e Santa Caterina da Siena è posto sull’altare maggiore protetto da una cornice in bronzo dorato circondata dai quindici misteri del Rosario, dipinti su rame, opera del pittore napoletano Vincenzo Paliotti. Questa tela è profondamente e devotamente venerata in tutto il mondo.
E’ innegabile che la storia del Santuario e del quadro della Vergine del Rosario a Pompei è strettamente legata al suo fondatore, il Beato Bartolo Longo, assieme alla contessa Marianna Farnararo de Fusco – sua consorte e vedova del conte Albenzio de Fusco – che spesero gran parte della loro vita al beneficio della povera gente, degli ammalati e degli emarginati . Bartolo Longo (1841/1926), nativo di Latiano, in provincia di Brindisi, di famiglia benestante, da giovane, terminati gli studi, si mostrò molto appassionato del ballo, della musica e della scherma; insomma, una vita spensierata e con tanti svaghi. All’indomani, però, dell’inglobamento del Regno delle due Sicilie a quello d’Italia, i titoli di studio che aveva conseguito non gli venivano riconosciuti, per l’approvazione della legge Casati (dal nome del legislatore che la propose) che modificò l’ordinamento scolastico; fu, quindi, costretto ad iscriversi alla Regia Università di Napoli per conseguire la laurea in giurisprudenza. Ma proprio in quell’ambiente universitario ed a Napoli si respirava aria anticlericale, cioè una corrente di pensiero contro l’intromissione e l’interferenza del clero in quasi tutti gli affari dello Stato. Bartolo Longo fu come affascinato da tutto ciò ed aderì con entusiasmo alla contestazione contro il clero, tanto che prese anche lezioni di Lettere e Filosofia presso filosofi e professori universitari a Napoli, già noti per il loro manifesto comportamento contro i cattolici : basti ricordare Augusto Vera da Amelia (Terni), Betrando Spaventa, nativo di Bomba (Chieti), e del napoletano Luigi Settembrini. Queste lezioni lo convinsero ancora di più a negare eventi sovrannaturale ed a frequentare con assiduità ed interesse un movimento spiritista di tipo satanico, molto esteso nelle zone del napoletano, impegnandosi al punto tale che, di lì a poco tempo, divenne un esemplare “sacerdote satanista”.
► Questa carica, fortunatamente per lui, non durò a lungo per l’insorgere di una grave crisi (forse anche spirituale) che gli provocò una depressione psichica e fisica, forse anche per i lunghi periodi di digiuno, nel rispetto delle rigorose regole che gli imponevano i riti satanici; la sua vita cominciò ad incamminarsi sulla strada giusta: una notte trascorsa tra incubi e tormenti, capì di poter e dover chiedere aiuto al Prof. Vincenzo Pepe, amico vero e sincero di vecchia data, compaesano ed uomo molto religioso. Così, nel maggio del 1865 Bartolo Longo abbandonò lo spiritismo e le pratiche spiritiche e forte delle parole amichevoli del Prof. Pepe, che, rassicurandolo e confortandolo sul suo interiore tormento, lo indirizzò alla guida spirituale di don Michele Alberto Radente, padre domenicano, che prestava la sua opera ecclesiastica nella Chiesa di San Domenico Maggiore a Napoli. Don Radente, nell’estate del 1867, riuscì nella sua opera avvicinando Bartolo Longo alla fede cristiana, con l’ascolta della Santa Messa e la prima comunione dopo la conversione. Ritornò a Latiano e continuò ad essere un buon cattolico ed un buon cristiano; rifiutò le nozze con due donne di buon partito, abbandonò anche la professione di avvocato, fece voto di castità e si trasferì a Napoli, dove approfondì la sua conoscenza culturale di filosofia e di teologia, non facendosi mancare, nel contempo, momenti da dedicare ad opere di carità e all’istruzione religiosa e cristiana nelle zone più povere e degradate e negli ospedali. Tutto ciò gli valse per la nomina a “terziario dell’Ordine domenicano” in data 7 ottobre 1871, nella Chiesa di Porta Medina in Napoli dalle mani di Padre Radente, che, per suo volere, gli impose il nome di Fra Rosario.; questo incarico gli aumentò notevolmente la fede e la dedizione per il Santo Rosario, tanto che, forte del suo giovamento spirituale acquistato nel tempo, era convinto che anche i satanisti, che aveva conosciuto un tempo, potessero abbandonare le pratiche di spiritismo e convertirsi alla fede cristiana; tutti gli sforzi resi andarono a vuoto e perse ogni speranza per nuovi tentativi, amareggiato molto per essere stato schernito e beffato dai suoi ex-compagni. Nonostante ciò, la sua fede rimase integra nella sua mente e nel animo e gli accrebbe anche la vocazione di aiutare la povera gente; infatti, avendo ricavato una consistente somma di denaro dalla vendita di beni patrimoniali della sua famiglia, oltre 5.000 lire, somma molto sostanziosa all’epoca, la mise a disposizione per attribuire assegni vitalizi ai bisognosi e per sostenere spese mediche per gli ammalati.
► Questa sua missione cristiana ed opera caritatevole, aumentò ancora di più quando, a Napoli, conobbe il beato Ludovico da Casoria, la futura santa Caterina Volpicelli e la contessa Marianna Farnararo De Fusco, sua corregionale di Monopoli – 1836 / 1924; tutti e tre molto presi da quotidiane opere caritatevoli ed assistenziali. Momento ancor più fausto per Bartolo Longo quando, nel 1864, la contessa Marianna, rimasta vedova a soli 27 anni con cinque figli in tenera età, affidò a Bartolo Longo l’amministrazione dei beni ereditati dal De Fusco e di altre proprietà anche nella Valle di Pompei, nonché un educatore per i suoi figli. Bartolo Longo si trasferì in una abitazione della contessa Marianna per meglio adempiere a tali incarichi, collaborando anche lui attivamente ed assiduamente nelle opere di beneficenza. Nacquero, però, tanti pettegolezzi e su questa forte amicizia circolarono tante malignità e calunnie, tanto che la contessa Marianna Farnararo De Fusco, nel 1885, convolò a nozze con Bartolo Longo, su espresso volere di papa Leone XIII e nel fermo intento di far zittire quelle maligne dicerie, che aumentarono ancora di più quando la collaborazione tra i due divenne più costante e frequente per la costruzione del Santuario. Il loro matrimonio fu celebrato, ma preventivamente gli sposi concordarono di rispettare la loro amicizia, che fortemente li legava l’uno all’altro, e di vivere un amore fraterno, così come era stato fatto fino a quel momento.
► Innumerevoli sono le opere realizzate da Bartolo Longo nel segno della fede e delle preghiere rivolte alla Madonna del Rosario; oltre al Santuario, divenuto, poi, Basilica Pontificia, a lui si deve anche la diffusione della preghiera, conosciuta in tutto il mondo; della Supplica alla Beata Vergine del Rosario, che si recita ogni anno soltanto l’8 Maggio e la prima domenica del mese di Ottobre; la costruzione del’orfanotrofio femminile e dei due Istituti: uno per i Figli e l’altro per le Figlie dei Carcerati; la Congregazione delle Suore Domenicane, quali figlie del Santo Rosario di Pompei, con lo scopo di assistere ed educare i bambini; la facciata del Santuario quale simbolo monumentale alla Pace Universale, inaugurata nel 1901; le case operaie a favore dei dipendenti; una tipografia e legatoria, per la diffusione del periodico bollettino “Il Rosario e la Nuova Pompei” e della storia del Santuario personalmente da lui curate; alcune officine e scuola per l’insegnamento ed apprendimento delle arti e dei mestieri; purtroppo, tante di queste attività sono scomparse.
► Bartolo Longo muore a Pompei il 5 ottobre 1926 ed è proclamato Beato, il 26 ottobre 1980, da Papa Giovanni Paolo II, il quale credette e sostenne per niente conclusa l’opera dell’uomo fondatore e figura di rilievo di Pompei.
►Bartolo Longo è sempre più impegnato a diffondere la preghiera del Santo Rosario a Pompei; per questo gli balenò l’idea di acquistare un quadro della Madonna del Rosario per averlo precedentemente già visto in un negozio a Napoli; l’idea svanì, quando, per un caso fortuito, il 13 novembre 1875, incontrò, in Via Toledo, Padre Radente, il quale, conosciuto il motivo della presenza di Bartolo Longo a Napoli, gli suggerì di recarsi al Conservatorio del Rosariello (piccolo Rosario) di Porta Medina e chiedere, a suo nome, a Suor Maria Concetta De Litala la restituzione di un vecchio quadro del Rosario, che lo stesso don Radente le aveva fatto custodire dieci anni prima, dopo averlo acquistato, per tre lire e 40 centesimi, da un rivendugliolo – cioè un rivenditore ambulante al minuto di cose varie di poco valore, trovate lungo le strade o avute gratuitamente da gente che vuole disfarsi di oggetti ingombranti e fastidiosi -. Felice, Bartolo Longo si recò al Conservatorio per ritirare il quadro donatogli da don Radente; ma quando suor Maria Concetta glielo mostrò, grande fu il suo stupore e lo smarrimento, tanto che, sulle prime, rifiutò l’offerta, ma, poi, su insistenza della suora, suo malgrado lo accettò. La tela si presentava non bella e priva di qualsiasi valore artistico, stata attaccata dalle tarme e ancor più rovinata dal tempo per non aver mai ricevuto alcuna manutenzione, mancava di alcuni pezzi di colore ed il movenza della Madonna, che porgeva la corona a Santa Rosa, non era per niente consono con la storia dei padri domenicani, perché l’immagine doveva essere quella di Santa Caterina, proprio come viene riportato nell’attuale raffigurazione.
► In serata di quello stesso 13 novembre 1875, il quadro fu trasportato a Pompei dal carrettiere Angelo Tortora sul suo carretto da lavoro, trasportando il letame raccolto dalle stalle dei signori di Napoli per la concimazione dei campi degli stessi nella Valle di Pompei; su quel carico, fu sistemato il quadro avvolto in un lenzuolo o coperta. Ad aspettare l’immagine della Madonna, davanti alla chiesa del SS. Salvatore, erano presenti il parroco Cirillo, Bartolo Longo ed altri notevoli concittadini. La meraviglia e lo stupore che colse Bartolo Longo al Conservatorio del Rosario a Napoli, trasparì anche dal volto e dal cuore di tutti i presenti, quando fu loro mostrato il quadro, e tutti all’unanimità furono consapevoli e consenzienti che non poteva essere mostrato ai fedeli in quelle pietose condizioni e che prima bisognava procedere ad un profondo restauro .
► Il pittore Guglielmo Galella, noto per avere, in precedenza, ridipinto alcune immagini portate alla luce dagli scavi dell’antica Pompei, fu incaricato per le prime cure del quadro, che fu mostrato, dal febbraio dell’anno successivo, nella parrocchia del SS. Salvatore; ma il restauro non resse a lungo e, di lì a poco tempo, soffrì ulteriori danneggiamenti. Si pensò, dunque, di conferire l’incarico al napoletano Federico Maldarelli, professore dell’Accademia di Napoli, il quale si offrì gratuitamente per un secondo restauro della tela; infatti, con l’aiuto di un valente artista napoletano, esperto in restauri, Francesco Chiariello, tramutò, per volere di Bartolo Longo, anche la figura di Santa Rosa in Santa Caterina da Siena e l’allungò di un palmo (era una lunghezza di misura che a Napoli era circa 26,45 centimetri). La trasformazione ebbe il suo effetto ed il quadro (h cm 120 e cm 100 di base) fu spostato dalla parrocchia del SS. Salvatore in una cappella, dedicata poi a Santa Caterina, ed esposto al pubblico nel Santuario ancora in costruzione – era il 13 febbraio 1876, come ci ricorda lo stesso Bartolo Longo nel suo IV libro de “La storia del Santuario” , giorno in cui avvenne il primo miracolo effettuato dalla Vergine Maria alla piccola Clotilde Lucarelli di 12 anni, alla quale l’illustre medico prof. Antonio Cardarelli di Napoli aveva diagnosticato l’impossibilità di guarire dalle convulsioni epilettiche da cui era affetta. Invece, per grazia della Madonna, guarì definitivamente, così come guarì miracolosamente anche il piccolo Edoardo Raffaele, affetto da gravissima malattia – Libro VI – . Durante quella esposizione del quadro, furono donate alla Madonna pietre preziose, quali offerte per attestazioni di grazie ricevute; tra i diamanti e gli zaffiri, incastonati tra le aureole poste sul capo della Madonna e del Bambino Gesù, quattro smeraldi, di inestimabile valore, furono donati da due ebrei, beneficiari delle grazie della Beata Vergine; Papa Leone XIII, nell’anno 1887, benedisse la meravigliosa corona della Vergine.
► Il bel dipinto della tela fu ancor di più valorizzato durante l’ultimo restauro, eseguito nel 1965, da parte dell’Istituto Pontificio dei Padri Benedettini Olivetani di Roma. Gli esperti addetti ai lavori, portarono alla luce i colori originali ed affermarono che la tela era opera di un abile artista della scuola napoletana di Luca Giordano del secolo XVII. Dopo il restauro, il quadro fu esposto nella Basilica di San Pietro fino al 23 aprile; il solenne ritorno a Pompei fu accompagnato da religiosi e da fedeli, che formarono un corteo che si gonfiava sempre di più nell’attraversamento delle città lungo tutto il cammino che da Roma porta a Napoli. Il quadro giunse a Napoli solo in tarda serata; ma l’ora non scoraggiò i fedeli che lo accolsero festosamente con tanta gioia; la processione continuò e si concluse a Pompei in modo mirabile.
► Anche nel 2000, in occasione dell’anno Santo e del 125° anniversario, l’immagine della Beata Vergine è stata posta in adorazione ai fedeli per un periodo di cinque giorni nel Duomo di Napoli, ed anche il viaggio di ritorno a Pompei è stato fatto ancora a piedi, seguendo il medesimo precedente cammino, durante il quale una gran folla di fedeli, devoti e curiosi si accalcava e si spintonava lungo tutti i trenta chilometri di strada percorsi da Napoli a Pompei. Un’ulteriore esposizione del quadro è avvenuta nella sede del Vaticano il 16 ottobre 2002, su espressa richiesta e volontà di Papa Giovanni Paolo II, il quale sull’immagine della Madonna di Pompei ha firmato la Lettera Apostolica “Rosarium Virginis Mariae”.