Napoli notizie storiche sul 3° itinerario

Il Pio Monte della Misericordia, è un’istituzione benefica tra le più antiche di Napoli, sorta, nel 1602, per volontà di sette nobili napoletani che fondarono un’associazione laica per le opere di misericordia ed assistenza fisica alla persona. L’edificio della prima sede, realizzata dall’architetto ed ingegnere napoletano Giovan Giacomo di Conforto, divenne subito disagevole e scomodo per la veloce espansione del Monte, e fu rimpiazzata, nel 1658, da una nuova  sede, palazzo e chiesa attuale, costruita sulla frequentatissima e più popolare via dei Tribunali (l’antico decumano maggiore), su progettazione di un altro architetto ed ingegnere napoletano Francesco Antonio Picchiatti.

Nel corso dei quattro secoli di storia ha accumulato un considerevole patrimonio d’arte per le    tante donazioni effettuate, per poterle poi vendere e destinare il ricavato a scopo benefico.

Ma grazie ai netti rifiuti dei direttori, che si susseguirono alla gestione del Monte, che opposero un’energica avversione a commerciare e, quindi, a disfarsi di quelle opere, che oggi possiamo  conservare ed ammirare quel piccolo tesoro d’arte che è rimasto:  collezione di dipinti, argenti e pianete, mobili ed elementi d’arredo pregiati e libri antichi.

La raccolta di opera, una collezione di circa 150 dipinti realizzati tra il  XV ed il  XIX secolo, si divide in tre sezioni:  1. la collezione, del XVIII secolo, del pittore napoletano Francesco De Mura, donata in eredità per volontà testamentaria;  2. la donazione, del 1933, di Maria Sofia Capece Galeota dei Duchi della Regina costituita da  31 dipinti, tra cui  l’autoritratto del noto Luca Giordano, i grandi ritratti equestri, la Sacra famiglia con Santa Lucia del napoletano Fabrizio Santafede e la Pietà di Vaccaro; 3. l’insieme di tutte le altre opere ereditate o ricevute in donazione o acquistate su ordinazione diretta fatta ai pittori.

Tra tutte le opere spicca le Sette opere di Misericordia, del 1607, un celebre dipinto di Caravaggio.

Il noto Palazzo Cuomo, ma da identificare come Palazzo Como, dal nome del suo originario proprietario Riccardo Como, originario di Alvignano (CE), ma portato al massimo splendore nel 1664 da un suo discendente Angelo Como, un commerciante napoletano che fa fortuna in quel di Firenze, molto legato alla Casa Reale degli Aragonesi, tanto da aggiungere, negli spigoli della facciata, allo stemma di famiglia Como  quello aragonese.

La progettazione è dell’architetto e scultore Giuliano da Maiano, originario di questa piccola frazione del Comune di Fiesole, collaborato da altri due architetti fiorentini, ai quali si deve l’introduzione dello stile fiorentino anche a Napoli.

Verso la fine del 1500, fu donato alla vicina Chiesa di San Severo al Pendino ed adibito a Convento di questa stessa chiesa; diversi furono i proprietari di questo splendido palazzo, tanto che, nel 1815, il cittadino austriaco, Antonio Mennel, adibì i locali a pian terreno ad una distilleria di birra; dal 1863 fu sede municipale e, in seguito, pretura della sezione Pendino.

Tra il 1881 ed il 1882, abbandonata l’idea di un suo totale abbattimento, fu parzialmente demolito ed arretrato di circa 20 metri, per dare spazio alle opere di allargamento di Via Duomo; dopo la sua ricostruzione, diventò la sede della raccolta privata del principe Gaetano Filangieri e, dal 1888, diventò  il Museo Civico Gaetano Filangieri, per dono fatto alla città di Napoli dal nipote di quest’ultimo Gaetano Filangieri.

Sfortunatamente gran parte degli oggetti e reperti accumulati nel Museo andarono distrutti nel 1944 in un incendio provocato dalla truppe tedesche di stanza a Napoli, durante un attacco al deposito di San Paolo Belsito, dove gli oggetti più preziosi erano stati trasportati con l’intento di avere una sicura custodia.

Oggi sono oltre tremila i materiali e gli oggetti esposti; vi sono:

-) armi occidentali ed orientali, datate dal XV al XIX secolo; tra quelle orientali, molto belle, si evidenziano per le loro particolari caratteristiche, le armi cinesi, persiane, arabe e marocchine.

-) fucili a miccia, una colubrina del periodo aragonese, spade, armi con l’asta, elmi, attrezzi e finiture da cavallo, mazze da cerimonia, tutto splendidamente intagliato e cesellato.

-) dipinti e sculture del periodo dal XV al XIX secolo; pregevoli i dipinti di Domenico Antonio Vaccaro, di Luca Giordano, di BernardinoLuini e di Jusepe de Ribera, detto “Lo Spagnoletto”.

-) maioliche, piatti e porcellane del ‘500 sia di manifattura europea (Zurigo, Vienna, Meissen in Sassonia, Sevres in Francia) che italiana, soprattutto dalla Real Fabbrica di Capodimonte, tutto ordinatamente collocato in apposite vetrine.

-) pastori di Francesco Celebrano e di Giuseppe Sanmartino ed oltre 10.000 monete, tra cui la collezione di Giovanni Bovi, 3280 monete in rame napoletane e dell’Italia meridionale dell’epoca borbonica,  particolarmente pregiate per la loro uniformità, donata al museo dalla sua erede  Luisa Mastroianni Bovi.

-) preziosi ricami e merletti siciliani del 1500 e paramenti sacri del ‘600 e del ‘700.

-) un importante Archivio storico ed una ricca Biblioteca che custodisce oltre 15.000 volumi, una considerevole raccolta di manoscritti e 150 pergamene, alcune del periodo di Giovanni d’Angiò.

╠ Il Palazzo del Sacro Monte della Pietà fu acquistato, nel 1576, dal Monte di Pietà per dare all’omonima istituzione, già sorta nel 1539, una sede stabile. L’istituzione era, quindi, nata a scopo benefico da parte di due nobili napoletani, Leonardo de Palma ed Aurelio Paparo, i quale vollero andare contro gli usurai ed incontro alle esigenze ed alla povertà del popolo concedendo prestiti senza interessi.

Il Palazzo fu costruito tra il 1597 ed il 1605 dall’architetto ed ingegnere romano Giovan Battista Cavagna, sull’area del precedente Palazzo dei Carafa, duchi di Andria e Conti di Montecalvo Irpino;  Dal portale d’ingresso si accede all’atrio, diviso in sei arcate, alla cui sinistra sono stati collocati gli uffici; si passa, quindi, nel cortile dal quale accedere, poi, oltre ad altre sale, anche alla Cappella del Sacro Monte della Pietà, costruita dal Cavagno assieme al Palazzo; ai lati del suo ingresso si trovano due statue, raffiguranti “La Carità” e “La Sicurezza”, opere di Pietro Bernini, con epigrafi che mettono in risalto l’opera benefica dell’Istituzione.

Nel timpano triangolare della facciata è “La Pietà” opera, del 1601, dell’architetto e scultore fiorentino Michelangelo Naccherino.

Il Palazzo, scampato ai danni che avrebbero potuto provocare, nella prima metà del 1600,  un incendio volutamente appiccato dai rivoltosi durante i “moti di Masaniello”, non scampò, invece, a quelli di altro incendio, alla fine del 1700, in cui, nonostante i lievi danni subiti dalla Cappella e salvati i preziosi dipinti in essa custoditi, andarono distrutti l’Archivio e persi tanti pegni; per questi ultimi, il Monte di Pietà dovette onerosamente risarcire i legittimi proprietari.

Il sacro Monte di Pietà è l’origine della storia del “Banco di Napoli”, che è strettamente collegata a quella del Monte della Pietà, considerato uno dei “primi Banchi pubblico-privati di Napoli”; nel 1809 fu denominato “Banco delle due Sicilie” e nel 1861, dopo la costituzione del Regno d’Italia, “Banco di Napoli”.

La cappella e le tre sale a pianto terra, nelle quali, all’epoca, avvenivano le aste per la vendita degli oggetti pignorati e non più ritirati dai proprietari, dopo opportuni restauri,  sono oggi adibite a”Museo del Sacro Monte di Pietà”, inaugurato nel dicembre del 1999, che custodisce raccolte di oggetti sacri, arredi e dipinti della collezione del Banco di Napoli.