Napoli notizie storiche del 1° itinerario

L’ottocentesco monumentale Palazzo della Prefettura o Palazzo della Foresteria, è stato fatto edificare da Ferdinando I, nel 1815, sull’area del trecentesco convento di Santo Spirito dei monaci basiliani, per poter ospitare i forestieri che venivano a visitare la Corte Borbonica; dal 1890, ospita nei suoi locali a piano terra il famoso e storico Caffè Gambrinus, dal nome di Joan Primus, re delle Fiandre, una delle tre Regioni del Belgio, leggendario inventore della birra con malto e luppolo, il cui soprannome Gambrinus deriva, forse, da una cattiva pronuncia del suo vero nome, o da una errata trascrizione del nome “Gambrivius“, che appariva in un manoscritto letto male da uno stampatore di Anversa, che, per fare cosa gradita, lo corresse in Gambrinus. o dalla parola celtica “camba , nome con cui viene chiamata la pentola utilizzata per la preparazione della birra.

L’imponente edificio fu costruito, in epoca borbonica, su un’area che, poi, fu denominata “Largo di Palazzo”. L’incarico per la progettazione fu affidato, nel 1600, all’architetto svizzero Domenico Fontana, nato a Melide (Canton Ticino), per volere del vicerè Fernando Ruiz de Castro Andrade y Portugal, VI Conte di Lemos; il Palazzo doveva sorgere per ospitare i sovrani di Spagna Filippo III, la moglie ed il seguito, (cosa che non avvenne); e la costruzione doveva essere così imponente e maestosa degna della seconda città del Regno Spagnolo in Europa. Divenne, invece, la residenza dei vicerè di Spagna, poi degli Austriaci e, infine, una delle quattro residenze della famiglia reale dei Borbone (le altre tre sono a Capodimonte, a Portici ed a Caserta); in seguito, dopo la nascita dell’Unità d’Italia, quella dei Savoia. In modo saltuario, fu anche residenza dei re d’Italia.

Nel 1888, il re d’Italia Umberto I, fece collocare nelle nicchie esterne, vuote, enormi statue raffiguranti i re di Napoli: Ruggero il Normanno, Federico II di Svevia, Carlo I d’Angiò, Alfonso I d’Aragona, Carlo V d’Asburgo, Carlo III di Borbone, Gioacchino Murat e Vittorio Emanuele II di Savoia.

Si possono visitare:

-) L’appartamento storico, il cui accesso è dal cortile, salendo per lo scalone d’Onore, costruito dal Francesco Antonio Picchiatti tra il 1651 ed il 1666; è stato adibito a Museo che ospita una galleria di opere d’arte e la Biblioteca storica, la cui nascita può essere datata verso la fine del 1700, quando, Ferdinando IV di Borbone, con un proprio decreto istituì la “Biblioteca Reale di Napoli” , in cui vi trasferì gran parte del materiale librario già raccolto nella biblioteca di Capodimonte.  Tra i tanti tesori che ora custodisce, si possono annoverare: circa 2 milioni di volumi, circa 33.000 manoscritti, oltre 10.000 tra incunaboli o quattrocentine e cinquecentine (documenti e libri stampati con caratteri mobili nel 1400 e nel 1500),  circa 1800 papiri ritrovati durante gli scavi di Ercolano, e molto altro ancora.

Dal 1922 è Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III, lam più importante e suggestiva dell’Italia Meridionale, arricchitasi ancor di più nel corso degli anni con acquisti e donazioni varie, tanto da rendere la Raccolta dei manoscritti una delle più importanti collezioni esistenti in Europa, perché custode di una documentazione  storica e culturale che abbraccia un periodo intercorrente tra i primi secoli del dopo Cristo fino ai nostri tempi attuali.

Molte suppellettili e arredi non ci sono, parte furtivamente sottratti da ignoti e parte distrutti dai danni provocati dalla seconda guerra mondiale, che rovinò anche i parati dell’epoca borbonica, rifatti nel dopo guerra, utilizzando gli stessi telai e materiali della famosa Seteria borbonica di San Leucio (Caserta).

-) nell’atrio è conservata una porta bronzea del Maschio Angioino, del 1468, a sei rilievi, opera dello scultore parigino Guglielmo Monaco, con i battenti formati da pannelli, con cornici decorate e con medaglioni che ritraggono episodi della vittoria, per la conquista del Regno di Napoli, di Ferdinando I d’Aragona (meglio conosciuto come Ferrante o Don Ferrando) su Giovanni d’Angiò, che fu sconfitto dal rivale, nel 1462, nella battaglia di Troia (FG) e, nel 1463, nella battaglia di Ischia. La porta, che, per le raffigurazioni riportate, è denominata “La Vittoriosa”, presenta quattro squarci provocati da proiettili di ferro, che, si narra, siano stati sparati dalle “colubrine” spagnole, quando attaccarono il Maschio Angioino nel 1503.

-) a destra si apre il settecentesco Teatro di Corte, predisposto ed allestito, nel 1768, dall’architetto fiorentino Ferdinando Fuga; danneggiato seriamente dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, fu ricostruito secondo il progetto originario e furono salvate le dodici statue di cartapesta che simboleggiano le Nove Musa, Apollo, Minerva e Mercurio, opere dello scultore  napoletano Angelo Viva.

-) Sono accessibili per una visita (si consiglia guidata): il salone centrale con il suo decoratissimo soffitto, la sala del Trono, la Sala degli Ambasciatori, la Cappella di Maria Cristina, la sala delle Guardie, la sala dei Pilastri ­ o delle Colonne, il salone d’Ercole con la sua pregiata collezione di porcellana, la cappella reale e molte altre sale, tutte magnifiche, splendidamente decorate e tutte espongono mobili, arazzi, dipinti, sculture, affreschi e suppellettili varie, prodotti del XVII e XVIII secolo.

Nel 1994 ha ospitato nelle sue sale il vertice del G7.

╠     Il Teatro San Carlo o Real Teatro di San Carlo, è stato costruito nel 1737, attaccato al lato nord di Palazzo Reale, su espressa volontà del re Carlo I di Borbone, su progettazione dell’architetto ed ingegnere di Sciacca (AG) Giovanni Antonio Medrano.

Subentrò al vecchio teatro San Bartolomeo, costruito nel 1620, nei pressi della Chiesa omonima, dall’Ospedale degli Incurabili, con il solo intento, per quest’ultimo, di vedersi aumentare  le proprie entrate dagli incassi degli spettacoli. Ora il vecchio teatro è stato trasformato nella Chiesa di San Bartolomeo.

E’ il teatro d’opera più antico ed uno fra i maggiori dell’Europa, nonché il più capiente di tutta Italia con circa 3.300 posti a sedere; il solo palcoscenico è lungo circa 35 metri,  ha sei piani di cui cinque con 184 ordini di palchi posizionati a forma di ferro di cavallo, ed uno come loggione; al centro il meraviglioso gran palco reale, su cui svetta ancora la “corona del Regno delle due Sicilie”, ed a cui si accede direttamente da Palazzo Reale , attraverso un passaggio, appositamente costruito, per dare la possibilità ai reali di entrare direttamente in teatro senza passare dalla strada adiacente.

Fu inaugurato, unitamente all’Orchestra, il 4 novembre del 1737, con  la rappresentazione dell’opera “Achille in Sciro” del compositore tranese  Domenico Natale Sarri o Sarro e libretto del romano  Pietro Metastasio.

Dal primo decennio del 1800, viene ospitata la “scuola di Ballo del Teatro San Carlo”; fra i tanti e degni Direttori artistici che si sono succeduti nel corso degli anni, può annoverare anche i nomi degli illustri compositori italiani : il pesarese Gioacchino Rossini ed il bergamasco Gaetano Donizzetti; tra i nomi illustri come Direttori d’orchestra: il parmigiano Arturo Toscanini. In tempi più recenti ha avuto il privilegio di ospitare gli emergenti maestri (ora godono di una grande notorietà) Claudio Abbado e Riccardo Muti.

Il 10 luglio1994 ha ospitato  nelle sue sale il vertice del G7.

Il Teatro San Carlo è riconosciuto dall’UNESCO come “patrimonio dell’umanità”.

╠  La Galleria Umberto I è sorta in una zona malfamata, fortemente degradata sin dal XVI secolo e fino a quasi tutto il 1800, a cui si aggiunse un’orrenda situazione igienico-sanitaria,  tanto da giungere ad avere, tra il 1835 ed il 1884, ben nove episodi di epidemia colerica.

Soltanto dopo l’ultima epidemia del 1884, il governo cominciò a valutare la serietà della situazione ed a studiare il tipo di intervento da porre in essere; infatti, nel 1885 fu approvata una legge che prevedeva un intervento per la bonifica di aree ad hoc della città partenopea.

Si pensò, dunque, alla costruzione di uno o più edifici in sostituzione di quegli orrendi palazzi; fu approvato così il progetto proposto dall’Ingegnere ed architetto napoletano Emmanuele Rocco (progetto ripreso ed ampliato dall’architetto romano Ernesto Di Mauro) che prevedeva la costruzione di una galleria a quattro braccia che attraversavano una volta a crociera ottagonale coperta da una cupola; la sua costruzione prevedeva anche l’abbattimento di interi edifici in diversi quartieri  popolatissimi nei Rioni Porto, Pendino, Mercato e Vicaria.

La posa in opera della prima pietra dei lavori si ebbe il 5 maggio del 1887 e fu inaugurata il 19 novembre del 1890 = fu lo stesso periodo in cui l’ingegnere francese Gustave Eiffel costruiva la Torre Eiffel a Parigi.

La Galleria divenne subito un grande nodo commerciale della città, favorita soprattutto dalle vicine arterie viarie napoletane (le così dette strade dello “struscio”, cioè del passeggio, nome derivante dalla funzione del “giovedì santo”, durante la quale la gente strusciava – strofinava  – i piedi sul manto stradale o, nel passare tra la gran folla, si strofinava l’una contro l’altra,)  in Via Toledo.

La costruzione è posizionata su una pianta  ottagonale di 36 metri con una splendida cupola, trasparente e con una struttura in ferro, alta oltre 57 metri; é pavimentata da marmi policromi.

L’ingresso principale  si trova su via San Carlo, ma vi sono anche quelli di Via Toledo, Via Santa Brigida e Vico Rotto San Carlo, con le non lontane Via Medina e Piazza Plebiscito; al suo interno vi sono gli ingressi di quattro palazzi a tre piani, di cui due sono interamente utilizzati da negozi commerciali ed il terzo utilizzato o da alberghi o da civili abitazioni.

L’ingresso di via San Carlo è costituito da un porticato poggiato su colonne di marmo e da due archi, di cui uno è l’accesso alla galleria e l’altro al porticato; sulle colonne dell’arco di sinistra sono state riprodotte in marmo le quattro parti del mondo:

  1. Sulla prima è simboleggiata l’Europa; è una figura di donna che ha una lancia nella mano destra ed ai piedi una lastra di marmo su cui è scritto “Corpus Juris Civilis” (chiaro riferimento alla raccolta di norme e materiale di giurisprudenza del diritto romano);
    1. Sulla seconda la figura stringe tra le mani una coppa e simboleggia l’Asia;
  2. Sulla terza la figura simboleggia l’Africa, perché indossa un abbigliamento di tale continente, con un casco di banane ed appoggiando la mano sinistra su una sfinge;
  3. Sulla quarta la figura femminile simboleggia l’America, avente la mano destra poggiata su un “fascio Littorio” ed ai suoi piedi è posto un grande volume di tavole geografiche con un globo terrestre su cui è scritto “Colombo”.

Sulle nicchie poste nella parte superiore, le statue simboleggiano, a sinistra, la Fisica e, a destra, la Chimica.

Sull’arco di destra le figure simboleggiano le quattro stagioni – a partire da sinistra verso  destra: l’Inverno, la Primavera, l’Estate e l’Autunno.

Sulle nicchie poste nella parte superiore, le statue simboleggiano, a sinistra, il Genio della Scienza e, a destra, il Lavoro.

Alla fine, figure di un gruppo di marmo simboleggiano il “Commercio” e “l’Industria” quasi sdraiati ai lati di una terza figura che simboleggia “la Ricchezza, capolavoro dello scultore Carlo Nicoli di Carrara.

L’interno della Galleria è stato, per oltre mezzo secolo, il posto di lavoro per i  famosi sciuscià, i lustrascarpe di Napoli;  farsi lustrare e pulire le scarpe nella galleria era consentito solo agli uomini chic ed eleganti della città. Oggi “sia l’usanza che il mestiere” sono scomparsi.

Nella zona sottostante della Galleria un’altra crociera, di dimensioni inferiori a quella superiore, incastra, nella parte centrale, il teatro della Belle Epoque, con il famoso “Salone Margherita”, il café-chantant, trasformato in italiano “caffè-concerto”, che, per molti anni, fu il luogo dello svago notturno dei napoletani, il simbolo del divertimento e della vita spensierata, dove era possibile mangiare e bere durante gli spettacoli nei quali venivano effettuate brevi rappresentazioni teatrali, operette, balletti, canzoni e si esibivano artisti vari con diversi  numeri e giochi di prestigio.

L’idea fu dei fratelli Marino che, genialmente, seppero abbinare un’attività commerciale, già   di per sé molto redditizia, con il fascino delle rappresentazioni dal vivo.

Nel Salone Margherita furono ospitati diversi personaggi illustri, anche di importanza nazionale: Matilde Serao, Salvatore Di Giacomo, Gabriele D’Annunzio, Roberto Bracco, Ferdinando Russo, Eduardo Scarfoglio, Francesco Crispi, etc.

Il Castel Nuovo o “Maschio Angioino” (il nome deriva dalla parola sinonimica mastio o maschio, che, a sua volta, sta per il significato di “fortezza inespugnabile). La sua costruzione avvenne, per volontà di Carlo I d’Angiò, allorquando trasferì la capitale del Regno da Palermo a Napoli, all’indomani della sua vittoria contro Manfredi di Svevia, nella battaglia di Benevento del 26 febbraio 1266.

I lavori di costruzione, che modificarono tutto il profilo a ridosso della zona portuale, cominciarono nel 1279 e finiti nel 1282; in concreto, ai due castelli già esistenti, con gli Angioini regnanti si aggiunse il maggiore ed il più importante in prossimità del mare, Castel Nuovo, che divenne non soltanto una fortificazione, ma soprattutto la loro grandiosa dimora, spostata da Castel Capuana, ritenuto non più adatto a tali esigenze.

L’incarico per la progettazione fu conferito ad architetti ed ingegneri francesi Pierre de Chaule e Pierre d’Angicourt (c’è chi asserisce che Giorgio Vasari, architetto e pittore aretino, ne attribuisce la paternità a Giovanni Pisani o Pisano, scultore ed architetto di Pisa.

Nonostante i tempi brevi per la sua realizzazione, Carlo I non vi dimorò mai, vuoi perché perse la corona del re di Sicilia, a seguito della rivolta dei “Vespri Siciliani”, vuoi per le altre vicende che tennero il re impegnato e, a volte, lontano da Napoli; rimase inutilizzato fina al 1285, anno in cui mori Carlo I.

Il suo successore, Carlo II lo Zoppo, invece si trasferì immediatamente con la famiglia e tutta la corte; intavolò buoni rapporto con la Santa Sede, tanto che,  nella gran sala di questo Castello, il 13 dicembre 1294 il Papa Celestino V, al secolo Pietro Angeleri, detto  Pietro da Morrone l’eremita, nativo di Isernia, durante un Concistoro, lesse al collegio dei cardinali la bolla contenente le sue dimissioni dal Soglio Pontificio (questo gesto fu annoverato da Dante nel III Canto dell’Inferno, con questi versi … vidi e conobbi l’ombra di colui che per viltade fece il gran rifiuto).

Il 24 dicembre dello stesso anno e nella stessa sala, il Conclave acclamò la nomina del nuovo Papa, in persona del cardinale Benedetto Caetani da Anagni, col nome di Bonifacio VIII, principale artefice delle dimissioni del suo predecessore, il quale trasferì immediatamente la sua dimora a Roma nello Stato Pontificio, per sfuggire anche ad eventuali ripercussioni da parte della corte angioina, gran sostenitrice di Celestino V

Il Castel Nuovo diventò un importante “Centro culturale” grazie a Roberto d’Angiò detto il Saggio, re di Napoli dal 1309 al 1343, amante delle belle arti e delle lettere, tanto che fra le sue mura ospitò i più importanti personaggi della cultura e dell’arte di quel tempo; furono ospiti per un lungo periodo anche gli scrittori e poeti Francesco Petrarca e Giovanni Boccaccio, i pittori Pietro Cavallini, Montano d’Arezzo e Giotto, che, nel 1332, fu incaricato di affrescare la Cappella Palatina.

L’ultimo regnante della dinastia d’Angiò a Napoli, ed a dimorare nel Castel Nuovo, fu Giovanna II, morta nel 1435, lasciando una triste e tremenda leggenda sul Castello da lei abitato: donna linceziosa, libertina e sanguinaria, sia per mantenere il suo potere che per capriccio;  ospitava nelle sue stanze amanti di ogni genere e di ogni ceto sociale, persino giovani, purché di bell’aspetto e di buona forma fisica, prelevati e sequestrati dai suoi fidati, fra la gente del popolo lungo le strade cittadine.

Per la salvaguardia del suo buon nome di regina “dopo l’uso e senza alcun rimorso”, ordinava che quegli uomini sparissero dalla circolazione, il più delle volte, disponeva che fossero gettati in un pozzo, coperto da una botola segreta, situato all’interno del castello; si narra che lì venivano divorati da mostri marini. Sempre secondo una narrazione popolare, il mostro marino sarebbe stato un coccodrillo, proveniente dall’Africa, attraverso il Mar Mediterraneo, fino a giungere ai sotterranei del Castello.

Giovanna II mantenne la sua dimora nel Castel Nuovo fino al 1414, anno della sua morte.

Agli Angioini subentrarono gli Aragonesi con Alfonso I, nel 1443 ; sua prima preoccupazione fu una ristrutturazione ed un ampliamento della reggia-fortezza, conferendo l’incarico all’architetto catalano Guillem Sagrera, originario di Felanitx (Maiorca – isole Baleari). Fece innalzare all’esterno,  l’Arco trionfale di Castel Nuovo, in pietra bianca, vero capolavoro dell’arte rinascimentale di Francesco Laurana, nativo di La Vrana (Croazia), costruito tra la Torre di Mezzo e la Torre di Guardia, per celebrare la sua entrata vittoriosa a Napoli;  potenziò la parte difensiva del Castello con cinque torri tonde, a differenza delle quattro preesistenti di forma quadrata, perché la forma rotonda avrebbe di più tollerato i colpi di cannone.

I lavori furono portati a termine nel 1479, dopo la morte di Alfonso I.

Dal cortile interno, in cui domina la grande scala, si accede alla monumentale “Sala dei Baroni”, resa famosa e funesta con la “congiura dei Baroni”, avvenuta tra il 1485 ed il 1486;  i Baroni del regno, per motivi politici, tramavano contro il re Ferdinando I, figlio di Alfonso I, che venne a conoscenza del complotto dei nobili. Il re organizzò una festa di nozze con il finto intento di riappacificare gli animi; ma quando i nobili giunsero al Castello, fece sbarrare le porte ed arrestare tutti i suoi ospiti, molti dei quali furono anche condannati a morte, come Francesco Coppola, conte di Sarno, assieme alla sua famiglia.

Castel Nuovo, con l’ingresso della “Corona di Spagna” a cui è annesso il regno di Napoli con Ferdinando di Trastamara, detto il Cattolico, nel 1504, non fu più considerata la residenza dei regnanti, ma divenne un presidio militare, per la sua strategica ed importante posizione adatta a sostenere attacchi che provenissero sia dal mare che da terra, pur ospitando i re di Spagna ed i suoi inviati, che venivano a Napoli.

Nel complesso è situato anche il Museo civico del Castel Nuovo, di cui, la prima sala, è la Cappella palatina, dedicata a San Sebastiano o Santa Barbara, risalente al 1307.

╠    Il complesso di San Pietro a Majella – conservatorio – chiesa – chiostro – museo storico e biblioteca, si trova nella via omonima, nr. civico 1 e seguenti.

Il conservatorio sorse nel 1806,  unificando quattro istituti musicali che operavano all’interno di altrettanto orfanotrofi: “Santa Maria di Loreto”, “Pietà dei Turchini”, “Sant’Onofrio a Capuana” e dei “Poveri di Gesù Cristo”, in cui, sin dal 1500, si impartivano lezioni di catechismo e di musica e canto, per i bambini abbandonati di Napoli, fino a trasformarsi in  vere e proprie scuole musicali. Questi istituti, per vari motivi, furono chiusi o soppressi alla fine del diciottesimo secolo; l’edificio divenne troppo stretto e limitato per accogliere tutti e quant’altro occorreva per l’insegnamento, e, quindi, nel 1808, si trasferì nel Convento delle Dame di San Sebastiano, molto più ampio. Nel 1826, su disposizione di Francesco I, si trasferì definitivamente nell’antico Convento dei Padri Celestini, fondato da Celestino V, Pietro da Morrone, eremita sui monti della Majella, in Abruzzo: da qui il nome di “Conservatorio di San Pietro a Majella”. Ha visto, tra i suoi allievi, illustri compositori e musicisti italiani dell’epoca: Francesco Durante, Domenico Cimarosa, Nicola Porpora, Francesco Provenzale, Giovanni Paisiello, Alessandro Scarlatti, Giovan Battista Pergolesi, Ruggero Leoncavallo, etc.-

Molto suggestiva la statua di marmo di Ludwig Van Beethoven, del 1895, posta nei giardini del conservatorio, opera di Francesco Jerace, scultore originario di Polistena (RC). E’ ancora oggi il più suggestivo conservatorio musicale dell’intera Italia meridionale.

L’omonima chiesa fu edificata alla fine del 1200, su progetto dell’architetto Giovanni Pipino da Barletta e per volontà di Carlo II d’Angiò, con l’abbattimento di due monasteri femminili di Sant’Eufemia e di Sant’Agata. Fu dedicata, sotto la gestione dei Celestini, al santo pontefice Celestino V, fondatore dell’Ordine religioso.

Nel corso dei secoli subì diversi ammodernamenti e modificazioni; quando fu cacciato l’ordine dei Celestini, dopo la nascita della Repubblica di Napoli del 1799, l’edificio assunse uno stile barocco, tutto eliminato e riportato all’originario stile gotico con i restauri completati nel 1933, con l’affidamento della gestione all’Ordine religioso dei “Servi di Maria”.

L’interno custodisce un bellissimo Crocifisso secentesco in legno, opera di un autore ignoto; nel soffitto della navata centrale e nel transetto, i dipinti, della seconda metà del 1600, sono di Mattia Preti¸ pittore originario di Taverna (CZ), e rievocano Episodi della vita di San Celestino V e di Santa Caterina d’Alessandria.

Di Cosimo Fanzago sono i disegni per la realizzazione dell’altare, che è preceduto da una splendida balaustra in marmo colorato ed è decorato con candelieri e grandi vasi in argento.

Il museo storico del conservatorio custodisce un’importante e preziosa collezione di ritratti di musicisti celebri, tra cui spiccano Gioachino Rossini del pittore napoletano Domenico Morelli, Richard Wagner del pittore foggiano Francesco Saverio Altamura e Saverio Mercadante del pittore molisano Francesco Paolo Palizzi.

Inoltre, ancora tra le collezioni troviamo strumenti antichi ed oggetti particolari di musicisti, tra cui la rara raccolta di manoscritti autografi, di edizioni musicali del sedicesimo secolo e, in particolare, della musica del Settecento napoletano, di libretti d’opera dell’annessa Biblioteca.

Tra gli strumenti musicali antichi da menzionare le arpe Erard e i violini Gagliano, clavicembali, spinette, pianini e pianoforti, fino alla straordinaria arpetta Stradivari.

Nella Biblioteca sono conservati circa 27.000 manoscritti musicali, 300.000 riviste e giornali,  20.000 volumi, 10.000 opuscoli, 10.000 lettere e 1.000 riviste settimanali e mensili.