Napoli San Gennaro ed il miracolo del sangue
Si narra che, dopo le esecuzioni capitali, parenti, amici e discepoli dei sette martiri erano lì, sul luogo dell’eccidio, per raccogliere i corpi decapitati per dare loro una dignitosa sepoltura; li trasportarono a spalla durante la notte. In quella stessa notte San Gennaro apparve a Commodo, il figlio della sua nutrice Eusebia, al quale chiese di cercare, oltre alla sua testa, anche il dito che gli era stato mozzato durante l’esecuzione, perché rimanesse unito al resto del suo corpo. Commodo concretizzò la richiesta del Santo ritrovando il dito.
Si racconta, altresì, che una santa donna abbia, subito dopo l’esecuzione, abbia raccolto, come santa reliquia, il sangue di San Gennaro in due lacrimatoi, le famose ampolline di vetro che, attualmente, vengono ancora venerate.
La tradizione vuole ancora, d’accodo anche tanti studiosi, che, la donna che ha raccolto il sangue del Santo nelle ampolline, sia Eusebia, visto che, sul luogo del patibolo, le uniche donne presenti erano sua sorella Agata e la sua nutrice, molto religiosa e molto devota al santo. Si era, quindi, avvicinata al corpo senza testa del Martire napoletano e, con l’aiuto di un piccolo ramoscello, riuscì a raccogliere una prima ampollina con sangue più fluido, che sgorgava ancora limpido dal corpo, e la seconda con sangue più rappreso misto a polvere, pagliuzze ed erba del terreno.
Il corpo di San Gennaro viene portato a spalla per un lungo tratto per dargli degna sepoltura in un luogo lontano anche da eventuale trafugamento o sciacallaggio; dopo essere stato lavato, unto e profumato fu sepolto in Campo Marciano, un fondo così chiamato perché appartenuto a San Marciano, un precedente vescovo di Napoli, parente della famiglia Januarius di Pozzuoli, la quale, a sua volta, era imparentata con la famiglia Januarius di Napoli. La tomba fu contrassegnata da segni particolari, insignificanti per chi non era a conoscenza della cosa, ma significativi per avrebbe interesse a ritrovar la tomba.
Torniamo al miracolo del sangue: San Zosimo o Cosimo, arcivescovo di Napoli (Giovanni I), aveva in animo di trasportare i resti mortali di San Gennaro da Campo Marciano a Napoli, interpretando, tra l’altro, il desiderio di tutti i napoletani nel volere San Gennaro riposare a fianco di Sant’Agrippino, già vescovo di Napoli, agli inizi del III secolo, e molto amato anche dal popolo. Il vescovo Cosimo, dunque, dispose, nel 341, il trasferimento delle reliquie nella località di Agnano, dove già esisteva una necropoli catacombale cristiana a Capodimonte.
Ricompaiono le due ampolle contenenti il sangue coagulato di San Gennaro, quando furono consegnate da una pia donna, lungo la strada di Antignano (Eusebia che aveva conservato le ampolle lei stessa o qualche sua discendente, che abitava nella zona del Vomero, forse, dov’è ora l’attuale chiesa di San Gennariello) nelle mani del vescovo Cosimo, a capo della delegazione incaricata del trasferimento dei resti mortali del Santo da Campo Marciano in Pozzuoli a Napoli.
Qui avvenne il primo miracolo che confermò la veridicità di quanto la pia donna affermava: sotto gli occhi dello stesso vescovo e della gran folla di fedeli che seguivano la processione, il sangue contenuto nelle ampolle, rappreso e solidificato, cominciò a ribollire, divenendo fluido, non appena il vescovo avvicinò le ampolle all’urna contenente il cranio di San Gennaro.
Questo singolare prodigio, da allora si ripeté ininterrottamente tutti gli anni successivi (giunto fino ai noi) in determinati giorni; ma, per avere la prima testimonianza di questo straordinario fenomeno, si deve attendere il 17 agosto dell’anno 1389, quando, durante i festeggiamenti in onore dell’Assunta, che i devoti napoletani hanno preparato per accogliere anche una delegazione proveniente da Avignone, pregano il Santo protettore per ringraziarlo per aver loro fatto superare le sofferenze causate dalle guerre e dalle gravi carestie; davanti agli occhi di tutti il sangue nelle ampolle si liquefa come fosse stato raccolto poco tempo prima. Il miracolo sarà, poco dopo, documentato dal “Chronicon Siculum” (una specie di registro in cui venivano annotati i fatti più importanti e notevoli, sia di storia che di cronaca, che si erano verificati nel Regno di Napoli), facendo scatenare tanti studiosi, scienziati e curiosi nel tentativo di trovare una diversa verità su questo straordinario e singolare episodio, ma si finì soltanto per alimentare ulteriori leggende e superstizioni, perché nessuno fu (e non lo è tutt’ora) in grado di trovare la diversa soluzione a cotanto mistico mistero.
Nel primo sabato di maggio, tutto comincia con una incantevole quanto folcloristica processione, chiamata anche “processione delle statue”, a cui partecipano, per omaggiare l’impreziosito busto d’oro e d’argento di San Gennaro ed il reliquario delle ampolle contenenti il suo sangue, non solo tutti i fedeli provenienti da tutta Italia e dall’estero, ma anche tutte le maggiori personalità autorevoli civili, religiose, politiche e militari, oltre a tanti turisti, curiosi, studiosi (?) del miracolo e giornalisti.
Con le altre 51 statue dei compatroni, il corteo si snoda attraversando la storica Spaccanapoli tra petali di rosa e fiori di ogni genere, lanciati dalla gente, che si ammassa lungo le antiche stradine strette della vecchia Napoli, dalle finestre e dai balconi tutti imbandierati di drappi e paramenti colorati; ultima tappa e il Monastero di Santa Chiara sempre accompagnati dalle frenetiche ed eccitate preghiere rivolte al loro Patrono, alle quali si uniscono quelle degli altri fedeli che, numerosi, aspettano nei pressi e nella Cattedrale, con la viva quanto mai determinata speranza nel cuore che si ripeti ancora il miracolo della liquefazione del sangue.
Per tutti i fedeli partenopei, pur essendo molto superstiziosi, il miracolo del sangue è molto sentito ed assume carattere di grande serietà: se la liquefazione avviene, essa è interpretata come un segno di buone speranze e di buono auspicio per tutto il polo; in caso contrario è segno di una tragica quanto imminente sciagura.
Il miracolo si ripete regolarmente:
a. il primo sabato di maggio e negli otto giorni successivi, in ricordo della prima traslazione dei resti mortali da Pozzuoli a Napoli;
b. il 19 settembre e per tutta l’ottava, in occasione della ricorrenza della sua morte;
c. il 16 dicembre – festa del patrocinio di San Gennaro per Napoli – in ricordo della devastante eruzione del Vesuvio nel 1631, bloccata dal Santo pregato intensamente dai fedeli.
Il prodigio, tale è anche per la scienza, è degno dell’affettuosa ammirazione con cui è seguito dall’intero popolo partenopeo e non solo. Il miracolo della liquefazione del sangue è accompagnato da tante intense preghiere e litanie in dialetto napoletano, ma anche da assillanti e caparbie invocazioni della gente, tanto che non sembra essere più una preghiera, ma invocazioni ingiuriosi che, dette in altri momenti, assumerebbero proprio un tono offesivo: “Faccia ‘ngialluta” oppure “Santu guappone”, oppure “Gennarì”… come ci si rivolge ad un amico di vecchia data. Sono, però, delle consuetudini ed insulti che giustificano la confidenza e la familiarità tramandatesi per secoli tra i devoti che, nella cultura napoletana, hanno sempre considerato San Gennaro un uomo comune, pur sempre mostrandogli un profondo ed intenso attaccamento devozionale. E’ chiaro che più tarda l’avvenimento del miracolo e più la folla impreca in modo scalmanato, e questo porta a quella situazione assurda che si placa soltanto a miracolo avvenuto (qualcuno viene anche allontanato dalla chiesa con la forza).
Ecco un esempio di invocazione rivolta al Santo:
Faccia gialla! faccia senza culore! faccia ‘ngialluta nun fà ‘o traditore! fancillo ‘stu “Miracolo” fa ampresso ca te mannammo cientomila “Messe”! ..E si vuò chesto, pe’ ‘m’accuntentà t’ ‘o cerco “Addenucchiato”… San Gennà! (G. Russo)
Traduzione: “Faccia gialla (è il colore dell’oro e dell’argento del busto del Santo)! Faccia senza colore! Faccia ingiallita, non fare il traditore! Facci questo miracolo, fai presto perché ti faremo dire centomila messe! E se tu vuoi questo, per accontentarmi te lo chiedo in ginocchio … San Gennaro!”
Oppure: Faccia gialluta! Ma che stai arrabbiato? Nun fa o’ fess’ San Genna’, ti vott’ a copp’ a bascie”.
Traduzione: “Faccia ingiallita! Ma che stai arrabbiato! Non fare il fesso San Gennaro, ti butto giù (dal piedistallo).
Quando i fedeli pregano, il vescovo, ogni tanto, muove l’ostensorio a destra ed a sinistra per vedere se il sangue sta per sciogliersi; quando il miracolo è avvenuto l’ostensorio viene posto davanti all’altare al bacio di tutti coloro che desiderano farlo, mentre un prete avvicina un cero acceso molto vicino all’ampolla, perché tutti possano vedere che si è ripetuto il miracolo della liquefazione del sangue.
Qualche studioso sostiene che a sciogliersi non sia sangue; pur affermando che il sangue non si scioglie con il calore, ma anzi si solidifica, è dell’opinione che, avvicinando una candela accesa, la stessa emana quel tanto di calore per sciogliere un certo liquido rosso, che certamente non è sangue. Quindi, al popolo napoletano ed ai tanti fedeli di San Gennaro viene riportata, da secoli, una tradizione, ma non una prova certa.
-) A chiunque, a questo punto, un forte dubbio si insinua nella mente e ci si domanda: perché quel liquido contenuto nelle ampolle non può essere esaminato in un qualche laboratorio chimico e dissipare così ogni dubbio? Le analisi sul sangue sono state sempre denegate dal papa e dalle Autorità della Chiesa, che hanno asserito che le cose sacre non devono essere profanate per nessun motivo e che un eventuale prelievo del sangue (ovvero del liquido rosso) potrebbe danneggiare irrimediabilmente sia le ampolle sia il loro contenuto. Perché, allora, è stato consentito al re Carlo III d’Angiò di prelevare il sangue dall’altra ampolla senza che nessuna autorità ecclesiastica abbia fermato la sua mano profanatrice? Oppure è stata rilasciata una qualche autorizzazione, che abilmente non ha lasciato tante tracce nella storia? E quali danni potrebbero essere causati all’ampolla, visto che non li ha provocati neanche Carlo III, atteso anche che la tecnologia dell’epoca non era certamente avanzatissima come quella dei nostri tempi? Per la verità, tanti sono stati i chimici e gli scienziati che, più volte, hanno voluto o cercato di spiegare il procedimento della condensazione e della liquefazione della sostanza contenuto nelle ampolle, ma, pur di fronte ad affermazioni ora negative ed ora positive, nessuno le ha mai voluto prendere in considerazione. Se da analisi chimiche, debitamente autorizzate, la Chiesa dovesse essere smentita, almeno salterebbe fuori la pura verità, anche se, conoscendo bene il popolo napoletano, questo poca cosa cambierebbe nell’animo dei devoti, che, imperterriti, resterebbero sempre fedele al loro Santo Patrono.
-) Altri episodi è d’uopo, a tal proposito, che vengano annoverati:
1. Si sa che San Gennaro fu decapitato appoggiando il suo capo su di una pietra, quella stessa pietra – si dice – sia ora custodita nel Santuario di Pozzuoli (NA) dedicato al Santo. Su questa pietra, nel giorno 19 settembre di ogni anno, vivificano delle macchie di colore rosso intenso; questa manifestazione viene interpretata dai fedeli come altro prodigio di liquefazione del sangue di San Gennaro, gocciolato sul masso o su di esso versato mentre era raccolto dalla sua nutrice Eusebia nel momento della sua morte. Tale fenomeno si compie nello stesso momento in cui si scioglie il sangue nelle ampolle nella Cattedrale di Napoli (nessun atto in proposito lo conferma: altra leggenda o invenzione della gente ?).
2. Però, se le autorità ecclesiastiche non autorizzano esami clinici e chimici sul liquido delle ampolle, e che per anni è rimasta titubante, lasciando, altresì, tanti dubbi sul miracolo nella mente e nell’animo dei tanti fedeli, è proprio la Chiesa che, alla fine, non ha esitato nel 1964, nel corso del Concilio Ecumenico Vaticano II (iniziato con papa Giovanni XXIII il 2 febbraio 1962 e portato a termine il 7 dicembre 1965 da Papa Paolo VI), ad eliminare addirittura San Gennaro dal calendario, avendolo riconosciuto come Santo di Serie “B”, cioè come Santo minore e, pertanto, da venerarsi soltanto per un culto locale, motivando la decisione per “la scarsità di notizie storiche disponibili” .
Alla notizia, l’intera comunità napoletana era decisa a far di tutto, anche l’impossibile, se il suo amato santo non avesse riacquistato, fra i tanti santi, il suo posto d’onore che da secoli aveva conquistato e che gli spettava di diritto. Vi fu anche qualcuno che, all’indomani della decisione di Papa Paolo VI, affisse grandi striscioni e manifesti, non solo alle porte del Duomo, ma anche in altre parti più importanti della città, con lo slogan: “San Gennà, futtetenne!” (San Gennaro, fregatene). Sebbene fosse in relazione parafrasi alla più nota massima pulcinellesca dialettale “Fatte o nnomme e futtetenne!” (diventi famoso e fregatene).
Così la Chiesa fu costretta a tornare sulle sue decisioni.
Il 16 giugno 1980 Giovanni Paolo II nominò San Gennaro protettore di tutta la Campania.
PRODIGIO DELLA LIQUEFAZIONE DEL SANGUE DI ALTRI SANTI.
A Napoli non soltanto al sangue di San Gennaro si attribuiscono probabili comportamenti miracolosi e inspiegabili, ma anche a diversi santi. Napoli, per questo, è soprannominata anche “Urbs Sanguinum” ossia “La città del sangue” riferito a quello dei Martiri Cristiani. Esistono, infatti, altre reliquie in altre chiese della città, che si trasformerebbero dallo stato di coagulazione a quello liquido o al contrario, ovvero sangue che si e’ preservato sempre liquido ovvero sangue coagulato che non cambia mai lo stato fisico ma è sempre di un “rosso vivo” in particolari occasioni ovvero sangue una volta allo stato liquido e successivamente coagulatosi o polverizzato.