Napoli 4° itinerario
Lasciandoci alle spalle il Palazzo della Borsa, e, passeggiando per circa 700 metri lungo Il Rettifilo – Corso Umberto I – tra i tantissimi negozi a destra e sinistra della strada, ed anche nei vicoletti laterali, attraversando, all’incrocio di Via Duomo, Piazza Nicola Amore, dal nome del suo ideatore, Sindaco di Napoli (1888/1889), avvocato, uomo politico e senatore del Regno d’Italia, detta anche “Piazza dei quattro palazzi”dal numero dei grandi edifici che la circondano, cominciamo questo itinerario partendo (poco più avanti da questa Piazza) dalla Chiesa di Sant’Agostino della Zecca, un’altra delle chiese più grandi di Napoli; non si conosce la data esatta dell’inizio della sua costruzione avvenuta sotto Carlo I d’Angiò, ma fu completata nel 1287 da Roberto d’Angiò. Danneggiata dal terremoto del 1980, è oggi ancora chiusa al culto.
Attraversato Corso Umberto I, raggiungiamo la Piazza del Mercato, su cui troviamo la Chiesa di Santa Croce e Purgatorio al Mercato, del XIII secolo, ma ricostruita nel 1781, perché quasi completamente distrutta, con Piazza Mercato, da un pauroso incendio. Poco distante, una Cappella, voluta da Carlo I d’Angiò, ci ricorda la decapitazione del giovane re Corradino di Svevia. La chiesa è una importante testimonianza del medioevo a Napoli, sia per la piazza in cui è stata costruita, sia perché all’interno conserva un ceppo con lo Stemma dei cuoiai napoletani, che si vuole che sia lo stesso utilizzato dal conciatore di pelli Domenico Punzo per la decapitazione di Corradino; altri esperti sostengono che, molto probabilmente, sia la “chiave di volta” della stessa Cappella (la “chiave di volta” è una pietra lavorata che viene posta sulla sommità di un arco e di una volta, su cui appoggiano, l’uno di fianco all’altro, elementi costruttivi, con la funzione indispensabile di scaricare il peso retto dall’arco sui pilastri laterali). La colonna con la croce rappresenterebbe il luogo dell’esecuzione.
Le opere di Luca Giordano e quelle di altri artisti sono state trasferite nel Museo Civico di Castel Nuovo (Maschio Angioino) .
Causa i gravi danni del terremoto del 1980, la chiesa è oggi chiusa al pubblico.
-) Poco distante, sulla stessa piazza, troviamo anche la Chiesa di Sant’Eligio al Mercato, sempre voluta da Carlo I d’Angiò, su forte pressione dell’omonima congrega che aveva fatto costruire l’Ospedale nel 1270.
-) Ci si sposta, attraversando Piazza Mercato, sulla vicinissima Piazza del Carmine, su cui si erge la Chiesa di Santa Maria del Carmine (ved. Le pagine: altre basiliche e chiese più note di Napoli).
Attraverso il dedalo delle stradine laterali, ci spostiamo ancora sul Rettifilo per giungere alla Chiesa della Santissima Annunziata Maggiore, nella via omonima (ved. Le pagine: altre basiliche e chiese più note di Napoli).
Ancora oggi questi percorsi sono pieni di vita, vuoi per la presenza della sede centrale dell’Università Federico II, vuoi per i numerosi negozi e botteghe di artigiani, così come un tempo; infatti, al tempo dei greci e dei romani, in questi luoghi i commercianti facevano i loro migliori affari con merce, ovviamente, diversificata da quella attuale: osterie e vinerie, botteghe di vasellami preziosi, profumerie, botteghe di unguenti medicamentosi e persino locali in cui avvenivano prestiti (con usura?), che oggi definiremmo “piccole Banche”.
-) -) Proseguendo ancora sul Rettifilo, giungiamo presto in Piazza Garibaldi, dove c’è la moderna Stazione Centrale e Porta Nolana, edificata nel 1400; è quasi simile a quella “Capuana”, con due possenti torri laterali in piperno: Torre della Fede a Sud e Torre della Speranza a Nord ¸ la cui funzione era di collegare Corso Umberto I (il Rettifilo) con Corso Garibaldi.
Era denominata “Porta Forcillensis” nel Rione Forcella (in dialetto: Furcella), perché la strada in rettilineo arrivava in questa ultima zona sdoppiandosi in un bivio a forma di Y, cioè a forma di “forcella”; fu arretrata nel periodo aragonese, 1484, con i nuovi lavori delle mura di cinta, sempre nella stessa zona, e rinominata “Porta Nolana”, perché la strada che iniziava da quella porta conduceva al “Borgo antico di Nola”. Le due Torri racchiudono un arco a tutto sesto in marmo, sul cui fòrnice (l’estremo dell’apertura dell’arco) vi sono tre stemmi in marmo, i quali, raffigurano, tra l’altro, uno scudo con le armi aragonesi inserite, in una delle sue quattro parti, con le armi angioine, le fasce del re di Francia e della Casa Reale dei d’Angiò, i gigli di Gerusalemme e scudi sannitici, con le armi abrase.
Sopra di essi, vi è un bassorilievo su una lastra di marmo, in cui è scolpito un regale, in sella ad un cavallo, vestito con un’armatura al gran completo, con il volto scoperto e con la corona testa, che si vuole rappresenti il re Ferrante I d’Aragona. Sulla facciata rivolta verso Nola, il busto del ‘600 raffigura San Gaetano.
La porta, attualmente, versa in uno stato di forte degrado e di forte abbandono, grazie ai quali, nel corso del tempo, su di essa e tutt’intorno sono state costruite abitazioni (abusive?) e sulla Torre della Speranza una fitta vegetazione selvaggia la fa da padrona. Anche nella parte interna, proprio sull’arco, è stata costruita una abitazione e, a piano a terra sono stati aperti negozi: nessuna autorità preposta è mai intervenuta per evitare o eliminare un tale scempio.
Nei pressi della Porta si tiene ogni giorno il mercato del pesce che attira una grossa affluenza della popolazione della zona e di quella circostante.
-) -) Continuando il nostro cammino per Via Poerio (di fronte alla Stazione centrale), giungiamo in Piazza Enrico De Nicola dove troviamo il Castel Capuano (Ved. notizie), nei pressi di “Porta Capuana” (Ved. notizie), risalente al XII secolo, nel “Quartiere della Vicarìa”, la zona in cui si erano trasferiti i vicari del re, ma meglio conosciuto come “il Rione Vasto”.
-) -) Quasi a ridosso di questa porta, in Piazza Enrico De Nicola, si trova la chiesa di Santa Caterina a Formiello, bell’esempio di monumento rinascimentale napoletano; la sua costruzione è iniziata nei primi anni del cinquecento e completata alla fine del secolo. La chiesa fu originariamente dedicata dai padri celestini a Santa Caterina d’Alessandria; in seguito, fu dai padri domenicani dedicata a Santa Caterina da Siena, suora del Terzo Ordine Domenicano.
La denominazione “a formiello” deriva dalla parola latina “ad formis” = presso i condotti – perché, proprie nelle immediate vicinanze, passava un antico acquedotto per l’approvvigionamento idrico della città.
Diversi sono gli artisti che, nel ‘600 e nel ‘700, hanno affrescato le sue pareti e le dieci cappelle laterali; non mancano monumenti scultorei di pregevole fattura.
Sul sagrato fuori dalla chiesa, si trova un’edicola votiva con il busto di San Gennaro; l’opera fu progettata da Ferdinando Sanfelice ed i lavori per la sua realizzazione iniziarono nel 1706 da Lorenzo Vaccaro, ma, assassinato dai suoi rivali di lavoro, furono completati dal figlio Domenico Antonio Vaccaro, nel 1708.
Un documento scritto, lasciatoci dal frate domenicano Giovanni Ippolito, ci conferma che, nel 1611, nel convento di questa chiesa esisteva una “Spezieria”, oggi potremmo chiamarla Farmacia, voluta e creata da “Frà Donato d’Eremita”; sotto la sua gestione, questa “Spezieria”, divenne così rinomata e famosa tanto che la “lunga fila dei clienti quotidiani sembrava non potesse avere alcuna speranza di guarigione se non avesse utilizzato i medicamenti della spezieria della chiesa di Santa Caterina a Formiello”.
Quello che ci lascia esterrefatti ed increduli è il fatto che nessun Autorità od Ente preposto si sia mai preoccupato di controllare e di accertare quanto sia vera la storia e cosa ci sia rimasto sugli scaffali e negli armadi rimasti e trascurati in quei locali, visibili al pubblico attraversando una porticina in legno posta alla sinistra dell’ingresso del convento.
-) -) Da questo punto in poi, percorriamo la vicina Via San Giovanni a Carbonara, girando a destra in fondo alla strada per Via Foria, per giungere in Piazza Carlo III, su cui si affaccia “l’albergo dei poveri” detto anche “Palazzo Fuga”, dal nome del suo progettista Ferdinando Fuga. Fu eretto nel 1751 ed è la più grande costruzione del settecento in Europa. I lavori non furono portati a termine, ma, nonostante ciò, misura 354 metri di lunghezza, sui 600 metri progettati; ha una larghezza di 135 metri, 8 metri di altezza, occupa circa 100.000 metri quadrati di suolo ed ha 430 stanze, suddivise su quattro piani. Era sorto per accogliere, assistere ed educare circa 8.000 poveri del Regno delle due Sicilie, tra bambini ed adulti.
Nel corso degli anni ha perso, però, la sua originaria funzione; oggi è sede di numerose associazioni cittadine, culturali ed assistenziali, e parte dei locali a piano terra sono occupati da commercianti ed artigiani; è oggetto di continue manutenzioni e fortificazioni per i danni del terremoto del 1980, che provocò il crollo di un’ala del Palazzo, provocando la morte di 4 persone, due anziane ricoverate nell’ospizio e due assistenti.
-) -) Poco distante c’è l’area dell’ Orto Botanico; L’Orto botanico di Napoli, conosciuto anche come Real Orto Botanico, allo stato è una struttura dell’Università “Federico II” – Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali.
La realizzazione dell’Orto era da tempo una forte idea di Ferdinando IV di Borbone, impedito dalla rivoluzione napoletana del 1799, che lo costrinse4 a fuggire a Palermo; in realtà, però, la sua fondazione, avvenuta il 28 dicembre 1807, avvenne con decreto di Giuseppe Bonaparte, durante il periodo del sopravvento francese a Napoli, su progetto dell’ingegnere ed architetto Giuliano de Fazio e dell’architetto V. Paoletti .
Fu realizzato, così, su terreni in possesso a religiosi e ad un Ospedale che oggi non esiste più.
L’Orto Botanico di Napoli è uno dei più estesi e ricchi d’Italia con i suoi 25.000 esemplari di oltre 10.000 specie diverse provenienti da ogni parte del mondo, come ad esempio le tantissime specie erbacee, arboree e arbustive, la vasta collezione delle Piante succulenti – comunemente dette “piante grasse” – o quella delle felci arboree, ma anche le tantissime specie di tutti, o quasi, i fiori oggi esistenti, nonché un complesso di serre con le diverse temperature, che consentono sia la coltivazione che la conservazione delle piante utilizzate per medicinali, per le tintorie e per le essenze.
-) -) Ritornando su Via Foria, ci incamminiamo in direzione di Piazza Cavour e, superato il Museo Archeologico (visita del 2° itinerario), ci inoltriamo in Via Santa Teresa degli Scalzi, per giungere all’omonima chiesa del ‘600 dei Carmelitani Scalzi, dedicata a Santa Teresa d’Avila.
Nonostante conserva ancora un patrimonio artistico e culturale, la chiesa non è aperta al culto ed al pubblico; nell’ex Convento oggi vi sono insediate varie istituzioni sociali ed assistenziali per i non vedenti, nonché il Settore Assistenza Sociale della Regione Campania per i ciechi.
Continuando il nostro percorso su Via Santa Teresa degli Scalzi fino ad arrivare al “Ponte della Sanità”, sul popoloso quartiere omonimo, superato il quale, imbocchiamo subito Corso Amedeo di Savoia, nella cui vicinanza, a destra, incontriamo la Basilica di Santa Maria della Sanità, molto più nota come Chiesa di San Vincenzo ‘a Sanità, detto “ o’ Munacone”, perché questa Chiesa è dedicata al frate domenicano San Vincenzo Ferreri che richiama molti fgedeli da tutta la città.
Il progettista fu il frate domenicano Frà Giuseppe Nuvolo, al secolo Vincenzo de Nuvolo, e fu costruita in poco più di un decennio dal 1602 al 1613, sul luogo sovrastante le catacombe di San Gaudioso. La sua cupola è ricoperta da maioliche rosse e verdi, come pure maiolicato è l’orologio, aggiunto nel settecento sul campanile costruito nello stesso periodo della basilica. È a tre navate con 13 cappelle, sette al lato destro e 6 al lato sinistro, oltre alla sagrestia.
La prima cappella a destra è dedicata a San Nicola, con il dipinto della Madonna della Sanità, uno dei più antichi affreschi raffiguranti la Vergine Maria conosciuto a Napoli, risalente al V o VI secolo; la terza cappella, invece, è dedicata a San Vincenzo Ferreri, raffigurato nell’affresco di Luca Giordano. Tante sono, però, le opere d’arte ben visibili lungo le navate e nelle cappelle laterali.
L’altare maggiore è raggiungibile attraverso una “scala a tenaglia”, cioè due rampe di scale laterali in marmo colorato; sull’altare poggia il “ciborio” che è una vera e propria opera d’arte del 1628.
L’accesso alle catacombe di San Gaudioso è possibile attraverso una cancellata situata sotto il presbiterio, dove si trova la tomba del Santo, rivestita a mosaico, e con affreschi alle pareti risalenti al ‘600 ed al ‘700.
-) -) Si prosegue ancora su Corso Amedeo di Savoia,svoltando a sinistra in Penninata di San Gennaro dei Poveri, per giungere alle “catacombe di San Gennaro”, un’antica zona cimiteriale sotterranea, risalente al II secolo d.C., e la più importante testimonianza del Cristianesimo a Napoli, con importanti affreschi e mosaici paleocristiani.
In questo luogo, nel III secolo, furono custodite le spoglie mortali di Sant’Agrippino, il primo vescovo ed il primo protettore della città di Napoli; in seguito, il vescovo Giovanni I, vi fece trasportare anche quelle di San Gennaro, trafugate, poi, dal longobardo Sicone I, e portate a Benevento.
-) -) Arriviamo fino in fondo al Corso per giungere, di lì a poco, la Basilica di San Gennaro extra moenia, eretta, nel V secolo, fuori le mura, all’interno dell’ Ospedale di San Gennaro dei Poveri; più volte riedificata, modificata ed ammodernata, conserva l’affresco della decorazione nella forma originale; è stata riaperta al culto ed al pubblico da poco tempo.
-) -) Siamo, dunque, sulla strada che conduce al Tondo di Capodimonte, e, imboccata Via Capodimonte, attraverso il grande cancello d’ingresso della “Porta Grande” (c’è anche la Porta Piccola o Porta Miano), arriviamo al meraviglioso bosco o Parco ed al Palazzo reale, realizzato, nel 1738, per volontà di Carlo di Borbone (Ved. notizie).
-) -) Usciti dal Parco di Capodimonte, imbocchiamo il vicino Viale dei Colli Aminei, e. all’incrocio, svoltiamo a sinistra per Via Antonio Cardarelli (Ved. notizie) di fianco all’omonimo Ospedale, il più grande di tutta l’Italia Meridionale, proseguendo per l’intera Via Pietro Cavallino, passando, poi, per Via Domenico Fontana, per Piazza Francesco Muzii, Via Ugo Niutta, Piazza Medaglie d’Oro, Via Mario Fiore, Via Gianlorenzo Bernini, giungiamo in Piazza Luigi Vanvitelli, nel popolare e popoloso “Quartiere Vomero” , il quartiere “elite”, il quartiere “Alto”, il cuore commerciale e residenziale di Napoli, collegato con la parte bassa della città con una delle quattro “funicolare” esistenti.
Ci spostiamo nella vicina Via Tito Angelini per visitare il “Castel Sant’Elmo” della prima metà del 1300 (Ved. notizie) e, a breve distanza, in Largo San Martino, troviamo un altro degli splendidi edifici monumentali, in stile barocco, di Napoli: “La certosa di San Martino” (Ved. notizie), antico convento, fondato, nel 1325, da Carlo duca di Calabria, Vicario Generale del Regno; oggi vi è allestito il Museo nazionale di San Martino.
Da Largo San Martino si scende per Via Domenico Cimarosa, per giungere alla “Floridiana”, una villa favolosa del 1819, con un parco rigoglioso e verdeggiante, un edificio di interesse storico ed artistico.
Ferdinando IV di Borbone, nel 1815, donò alla sua seconda moglie Lucia Migliaccio, duchessa di Floridia (SR) – da cui il nome della villa – una grossa tenuta di proprietà del principe Giuseppe Caracciolo di Torella, sulla collina del Vomero, conferendo l’incarico all’architetto Antonio Niccolini di San Miniato (PI) di ristrutturare l’intero vecchio fabbricato.
L’architetto portò a termine l’incarico in soli due anni, tra il 1817 ed il 1819, realizzando la splendida villa, con un ampio e romantico parco, con viali e sentieri, tutto a verde con oltre 150 specie di piante ed alberi, tra cui lecci, pini, platani, palme, siepi di bossi e tante camelie.
“Villa Floridiana” è, dal 1927, il Museo Nazionale della Ceramica Duca di Martina che custodisce arti decorative, con una ricca collezione di oltre 6000 oggetti antichi, della seconda metà dell’Ottocento, di arti decorative europee e orientali (cinesi e giapponesi) donati a Napoli , nel 1911, da Placido de Sangro, conte dei Marsi e nipote del duca di Martina.