Napoli notizie storiche sul 4° itinerario

╠   Castel Capuano, cosi chiamato perché vicinissimo a Porta Capuana, è il più antico castello di Napoli; si trova alla fine di Via dei Tribunali.  I lavori per la sua costruzione durarono dal 1140 al 1160 e la sua realizzazione fu per volontà del normanno Guglielmo I d’Altavilla detto il Malo, re di Sicilia, su progettazione dell’architetto Buono.

A seguito di una sua fortificazione, Castel Capuano divenne la residenza reale dei regnanti normanni;  durante lavori di scavi del XIX secolo, sono stati portati alla luce reperti e rovine della Napoli romana e che, quindi, il Castello fosse stato edificato su quello che una volte era  il “Gymnasium” e, in seguito, a “necoropoli”,  come dimostrano le tante tombe ritrovate.

Nel 1231, Federico II, su progetto dell’architetto fiorentino Giovanni Pisano, diede inizio ai lavori di trasformazione del castello, il quale, sebbene mantenne le sue fortificazioni, indispensabili in quei periodi, lo rese più consono per una degna ospitalità di un sovrano e, quindi, di  una residenza regale più dignitosa, con l’eliminazione, ma con lo spostamento in altra area del Castello, delle strutture militari, adibendo a prigioni la zona sotterranea, nei cui ambienti vennero installati tutti i più moderni e peggiori impianti di tortura.

Castel Capuano ha ospitato, fra le sue mura, molti uomini illustri, come Francesco Petrarca nel 1370; ha vissuto tanti importanti eventi, come il sontuoso e spettacolare matrimonio del 1343 tra Carlo di Gravina o Carlo di Durazzo e Maria di Calabria, contessa di Alba, che provocò tanto scalpore e malumore tra il popolo; ospitò la Regina Giovanna II, sorella del re Ladislao I, re di Napoli,  quando vi si rifugiò durante gli scontri contro Alfonso V d’Aragona, che si arrese, rendendosi conto dell’impossibilità di poter espugnare Castel Capuano,  fortificato in tempi precedenti, dando, così, la possibilità alla regina di partire per Aversa.

In questo stesso Castello, il 23 agosto 1432 fu assassinato Sergianni Caracciolo, gran siniscalco di Corte nonché amante prediletto di Giovanna II,  la quale ne favorì persino l’assassinio.

Nel 1517, vi fu celebrato anche il matrimonio di Bona Sforza d’Aragona, figlia di Gian Galeazzo e di Isabella d’Aragona, con il re polacco Sigismondo I ; nel 1535, vi fu ospitato Carlo V, re di Spagna, il quale, un anno dopo, offrì il castello in dono ad un suo fido cavaliere e generale di cavalleria a Napoli, Filippo di Lannoy, principe di Sulmona, quando, durante il soggiorno del regnante spagnolo, sposò Isabella Colonna, tenendo nello stesso Castello dei sontuosi festeggiamenti.

Nel periodo spagnolo del viceré don Pedro de Toledo, il Castello assume la funzione di Palazzo di Giustizia, denominata “La Vicarìa”, da cui il nome del quartiere, nel quale vi furono  trasferite tutte le “Corti di Giustizia”, funzione conservata fino a qualche tempo fa, prima del trasferimento delle sedi al “Centro Direzionale”.

La continuità per secoli di queste attività di giustizia, ha consentito una buona conservazione di alcuni ambienti e di  alcune sale, come la Regia Camera della Sommaria (il Salone della Corte d’Appello), la sala con le Province del Regno e la Cappella della Sommaria, completamente decorata con affreschi e stucchi del 1547 e dei periodi successivi.

╠  Porta Capuana è così chiamata perché immette sulla strada in direzione di Capua;

è stata costruita nel 1484 su commissione del re Ferrante I d’Aragona, diventando, col tempo, il passaggio più semplice per accedere all’allora centro della città ed il più importante centro vitale e punti strategici della città presso cui confluivano tutte le altre strade, anche esterne.

E’ formata da due Torri aragonesi laterali, cave, simboleggianti “l’Onore” e “La Virtù”, che stringono al centro un arco di marmo bianco, con tanti bassorilievi, tra cui quello che, sull’arcata, ritraeva l’incoronazione di Ferrante I d’Aragona, che fu, purtroppo, portata via in un periodo successivo di dominazione spagnola.

Ai due lati della parte superiore, nelle piccole nicchie di destra e di sinistra, alla fine delle due colonne decorative, vi sono i due santi protettori di Napoli: San Gennaro e Sant’Aniello.

Tutta in stile rinascimentale, fu progettata dall’architetto Francesco da Maiano ad imitazione degli archi di trionfo di memoria romana, non perdendo, però, di vista la reale funzione difensiva e di fortificazione che doveva assumere la costruenda Porta.

Intorno a questa Porta si è sviluppata  una forte vita sociale, quando, in quei tempi ed in ogni occasione venivano montati baracconi con attrattive ludiche  e divertimenti vari; era anche il luogo dove si riunivano le aggregazioni dei diversi quartieri napoletani per il pellegrinaggio in onore di Maria SS. di Montevergine; il luogo dove  avvenivano le esecuzioni capitali e dove venivano esposti i corpi dei giustiziati per dare un forte ammonimento al popolo.

Mantiene, nonostante l’incuria, un buono stato di conservazione e viene considerata una delle più importanti costruzioni del periodo rinascimentale napoletano.

╠  Il real bosco o parco di Capodimonte era all’origine una grande distesa di 124 ettari di bosco, in cui era stata costruita una residenza per i capricci di caccia del re; grazie a questa sua crude passione che, ancora oggi, esiste ed è salvaguardata un’importante area naturale verdeggiante, orgoglio della città di Napoli, e non solo, entro la quale è ancora possibile godere di belle e lunghe passeggiate all’aria aperta e pulita e godere della frescura e dell’ombra dei secolari alberi di leccio, quercia, castagni, olmi, tigli, ecc. -.

La costruzione della Reggia sul “Capo di Monte” fu affidata all’ingegnere ed architetto siciliano di Sciacca Giovanni Antonio Medrano; oggi è completamente destinata a Museo, custode delle più belle opere d’arte di porcellana napoletane e dell’Europa, con l’ “Appartamento storico” , che espone la “Collezione Farnese” , con la “Galleria Nazionale” per le opere napoletane dal 1200 al 1700,  con la “Galleria dell’Ottocento” per le opere dell’  ‘800 napoletano e dell’arte  contemporanea, la ricca “collezione di Mario De Ciccio”, un palermitano collezionista ed esperto in opere d’arte, innamorato di Napoli, dove vi giunge nel 1906 con alcuni pezzi in oro, argento, in marmo, in legno pregiato e finemente intarsiato, tessuti, paramenti sacri, rari pezzi di maioliche, ecc. della bella collezione del ‘600 e ’700 siciliano donata, poi, al Museo.

Capolavoro per eccellenza resta “il salottino di porcellana”, voluta dalla regina di Napoli Maria Amalia di Sassonia; è un ambiente, in stile rococò,  completamente rivestito di lastre di porcellana bianca dal pavimento alle pareti e fino al soffitto; la miglior creazione della fabbrica napoletana nel 1700.

Tanti e tanti sono anche i capolavori, esposti sui tre piani, di Tiziano, Caravaggio, Botticelli, Goya, Masaccio, Bruegel, Mantegna, ecc., e, a concludere, arazzi, disegni, stampe,  oggetti degli stessi Borbone e … chi ne ha più ne metta …-.

Un po’ nascosti tra gli alberi, troviamo altri edifici importanti che hanno fatto la storia di Capodimonte, di Napoli e dei Borbone: 1. la “Real fabbrica”, dal 1743 al 1759, per la creazione delle famose “porcellane”, esportate, ancora oggi, in tutto il mondo, recanti l’inconfondibile  marchio del “Giglio Borbonico” di colore blè;   2. il “Casino della Reggia”, lontano da occhi indiscreti per le feste del dopo caccia, intime e mondane del re, dei principi e della nobiltà, che frequentava la Casa Reale;    3. l’Eremo dei Cappuccini, realizzato, nel 1815, fuori dai sentieri percorribili, come ex voto fatto da re Ferdinando IV, che, scontato il suo esilio, rientrava trionfante in Napoli con la nomina a Re delle due Sicilie”; l’edificio fu donato ai monaci per un loro ritiro spirituale  ed era formato da un dormitorio, una chiesa, giardino con tanti alberi da frutta ed un piccolo spazio con la funzione di cimitero. 4.  La chiesa di San Gennaro, voluta dal Carlo III di Borbone; fu edificata nel 1745 su progettazione dell’architetto napoletano Ferdinando Sanfelice. La chiesa era destinata a parrocchia per la gente casereccia e dedita ai lavori mercenari che abitava nel bosco reale” .

  1. 4. L’osservatorio Astronomico dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, costruito nel 1812, per volontà di Carolina Bonaparte, sorella di Napoleone, e con apposito decreto  di Gioacchino Murat, re di Napoli, marito di Carolina; i lavori furono completati nel 1819 con il nuovo re Ferdinando I di Borbone. Per la sua realizzazione fu scelta la collina Miradois, dal nome del marchese Miradois , vicino alla sua Villa e vicino alla Reggia;  è un edificio enorme e monumentale ed è stato il primo in Italia ad essere costruito con la specifica funzione  di “Specola” = (Osservatorio). Contiguo all’Osservatorio, c’è il “Museo degli Strumenti antichi”, unico in tutto il meridione d’Italia, suddiviso in tre sezioni: “il Museo degli Strumenti Astronomici” che custodisce una collezione di strumenti ed attrezzi vari dell’ ‘800 e del  ‘900; il “Padiglione Bamberg” , dal nome dello “strumento dei passaggi” ivi esposto, utilizzato per la “misurazione esatta del tempo”; il “Padiglione di Repsold”, che custodisce il “Telescopio rifrattore equatoriale”, il simbolo dell’Osservatorio napoletano.

-) Al museo è collegata anche una ricca biblioteca con i suoi 36.000 testi astronomici di indiscusso valore storico, scientifico e culturale, additando, come esempio, la prima edizione del “De revolutionibus orbium coelestium” di Copernico, ed i 2659 volumi provenienti dalla collezione dell’ingegnere lombardo Giuseppe Cenzato, nativo di Lonigo (VI), donata alla Biblioteca napoletana nel 1964.

L’Osservatorio è tuttora attivo e contribuisce notevolmente alla ricerca astronomica internazionale.

-) -) -) Tanti, però, sono i luoghi da visitare; consigliamo di seguire l’apposito itinerario appositamente predisposto, che semplifica i percorsi da seguire per una buona e piacevole visita  per il Real bosco o parco di Capodimonte.

╠ Antonio Cardarelli è famoso e grande medico ed uomo politico italiano, di origini molisane (m. a Civitanova del Sannio – IS – nel 1831), medico personale di uomini illustri come Giuseppe Garibaldi, il re Vittorio Emanuele II, il re Umberto I, Giuseppe Verdi, Benedetto Croce ed altri. Accanto alla sua ben nota valentia di medico, insegna per oltre quarant’anni presso la Regia Università di Napoli, ricoprendo, quasi contemporaneamente, anche la carica di senatore del Regno d’Italia. A lui è dedicato il complesso ospedaliero di Napoli, il più grande di tutto ilo Meridione, e l’ospedale di Campobasso; è morto a Napoli l’8 gennaio 1927, alla veneranda età di 96 anni, ma le sue spoglie riposano nel cimitero del suo paese natio, che personalmente contribuì per la sua realizzazione.

╠ Castel Sant’Elmo è un castello del medio evo, oggi museo civile permanente, sede di mostre contemporanee, fiere e manifestazioni varie; sorge sulla collina del Vomero, nelle immediate vicinanze del luogo in cui, nel X secolo, fu edificata una chiesa in onore di  Sant’Erasmo, un nome che, col passar dei secoli, viene tramutato in  Eramo, poi in Ermo e, infine, in Elmo.

Questa fortezza napoletana, costruita, in gran parte, utilizzando il tufo giallo (la caratteristica roccia della Campania), prende il posto di una torre d’osservazione, edificata dai Normanni e denominata Belforte; un cenno certo, proveniente da un documento storico, della costruzione vera e propria del Castello si ha, forse, nel 1329,  quando gli Angioini, con Roberto il Saggio, sentono l’esigenza di fortificare maggiormente la città di Napoli, conferendo incarico agli architetti  Francesco de Vico da Macerata e Tino da Camaino da Siena.   Bisogna, però, attendere il vicerè Don Pedro de Toledo, il quale, nel 1537, fece dare al Castello la vera impronta di Fortezza, facendo ricostruire, con modifiche, l’intero edificio già esistente, su progettazione dell’architetto militare Pedro Luis Escrivà di Valencia.

Il Castel Sant’Elmo, con una pianta a forma di stella “a sei punte”, con mura alte ed attorniate da un profondo fossato, con alti bastioni, su cui sono state poste le grandi cannoniere, con i suoi vasti corridoi, ancora oggi accessibili, con la sua posizione di circa 250 metri  s.l.m., da cui si poteva controllare (oggi si può ammirare) tutta la città, il golfo, e tutte le strade di accesso alla città, era diventato, così,  un edificio inaccessibile ed i punto strategico per la difesa di Napoli.

Lunga è la sua storia, soprattutto quella dei suoi assedi, cominciati con Ludovico d’Ungheria, fratello di Andrea e marito di Giovanna I d’Angiò, la quale si era trincerata all’interno del Castel Sant’Elmo per sfuggire alla vendetta del  cognato, calato a Napoli con il suo esercito  nell’intento di vendicare la morte del fratello, assassinato per volontà della stessa moglie. Carlo di Gravina o Carlo di Durazzo lo occupò quando la regina si arrese; Giovanna II, nel 1416, lo vendette in cambio di una forte somma di danaro ad Alfonso V d’Aragona, detto il Magnanimo, o Alfonso I re di Napoli.

La Fortezza, dava, quindi, sicurezza agli occupanti ed alla città, ma non certamente la sua struttura l’avrebbe difesa dagli eventi atmosferici; infatti, nel 1587, un fulmine fece saltare in aria la polveriera, che causò la morte di 150 persone, la maggior parte militari, la quasi totale distruzione dell’edificio e danni ingenti anche alla parte più vicina della città.

Con la sua ricostruzione (1599/1610), alcuni locali furono adibiti a prigione, nella quale furono rinchiusi diversi uomini illustri, perché nei due secoli – 1600 e 1700 – Napoli fu teatro di numerose rivolte popolari ed aggressioni, anche straniere, per l’ambito possesso del Castello. Tale funzione è stata mantenuta fino al 1970 come carcere militare; poi, dopo i lavori di restauro per adeguare il piano superiore dei locali delle prigioni a sede della Biblioteca di storia dell’arte, nonché  a Museo, fu aperto al pubblico nel maggio del 1988.

╠ La certosa di San Martino è un antico convento  fondato, nel 1325, dall’allora Vicario Generale del Regno Carlo duca di Calabria, figlio del re  Roberto d’Angiò, detto il saggio, che volle la sua realizzazione in una posizione dominante proprio come lo era il vicino Castel Sant’Elmo.

A noi sono arrivati soltanto pochi resti della sua originaria costruzione gotica, perché quasi totalmente  ristrutturata, in stile barocco, nel Seicento, su progettazione di tanti  grandi artisti locali di allora, con Cosimo Fanzago responsabile dell’intera equipe tecnica.

La chiesa è decorata con pitture del Solimena, di Andrea Vaccaro, di Luca Giordano, del Ribera e tanti altri, e per gli elementi di architettura e di scultura dello stesso Fanzago;

ammirabili restano il coro, le cappelle laterali e la sala del tesoro, tutto una splendida testimonianza dell’arte napoletana del ‘600, come il Chiostro Grande, da cui si accede per le sale della “Pinacoteca”, il piccolo cimitero dei monaci certosini, le statue della loggia, dai busti dei santi sui portali. Altro chiostro, più piccolo, è denominato Chiostro dei Procuratori, che da l’accesso ai giardini e alle sale del Museo Nazionale, a cui è stata trasformata la Certosa; è quasi simile, per le sue dimensioni, al Chiostro Grande, un pozzo centrale. Il monastero finì il suo ciclo vitale nel 1806 per volere dei regnanti francesi, e, quando i monaci certosini lo abbandonarono tutte le opere in esso raccolte e custodite passarono nel pieno possesso dello Stato.

Oggi la Certosa è il “Museo Nazionale di San Martino”, aperto al pubblico nel 1866, dopo che la Certosa fu dichiarata soppressa come bene ecclesiastico e dichiarata monumento nazionale.  Fu allora accolta la proposta dell’archeologo napoletano Giuseppe Fiorelli, il quale volle la raccolta di quei reperti, oggi in esposizione, che raccontano la storia del popolo napoletano e dell’intero Regno delle due Sicilie, enon solo; ammirabili, infatti, sono le diverse Collezioni delle porcellane di Capodimonte e di altri paesi europei, tabacchiere, ventagli, vetri e specchi napoletani e spagnoli decorati, alcuni con illustrazioni, vetri a filigrana, vetri a ghiaccio (che si ottengono a seguito di una particolare lavorazione del vetro infuocato, raffreddato in acqua e nuovamente infuocato per una nuova stratificazione di vetro).

Altra sezione del Museo custodisce alcuni modelli di imbarcazioni reali: come le due corazzate, l’una di Re Umberto e l’altra della Regina Margherita; una  Lancia reale molto fine ed elegante, ed un’altra molto più grande a 24 remi che la cittadinanza ne fece omaggio al re Carlo di Borbone.

Meravigliosa, e da non perdere, è l’esposizione dei fantastici presepi dell’arte napoletana;

il presepe più completo e più conosciuto è quello dell’architetto “Michele Cuciniello”, dal nome del suo donatore, regalato al museo nel 1879, la cui raccolta di pastori, animali, agnelli, nature morte,veri capolavori della fine del ‘700 e l’inizio dell’ ‘800,  fu esposta in una spettacolare grotta, appositamente costruita e dotata di una macchina scenica, che, attraverso un lucernario, illumina ed oscura la grotta, riproducendo l’effetto del giorno e della notte.

In seguito, furono esposti  altri presepi, più piccoli, e, la maggior parte, limitati alle sole  figure e scene della Natività, custoditi nei loro originali contenitori, chiamati, in dialetto napoletano, gli scaravattoli”.

-) L’opera di cui il Museo di Castel dell’Elmo custodisce con molta fierezza è la  Tavola Strozzi , un dipinto ad olio su tavola, elaborata tra il 1472 ed il del 1479, dalle dimensioni di metri  0,82 x 2,45 ,  di autore ancora ignoto, di buona pittura, ma non eccellente, e di un valore storico unico e molto  prezioso: è una fotografia a colori scattata a Napoli nella seconda metà del quattrocento

E’ Napoli con il suo mare: il molo descritto minuziosamente, i due castelli – Castel Nuovo o Maschio Angioino e Castel del Carmine (un’antica fortezza di cui vi sono pochi e piccoli resti in Piazza Guglielmo Pepe), le mura, le chiese ed edifici della città, la certosa di San Martino. In primo piano è il corteo di barche; il cielo appare in un chiarore opaco come se si trattasse del sorgere dell’alba ed il volo degli uccelli.

La tavola fu ritrovata nel Palazzo del Principe  Carlo Strozzi di Firenze, nel 1901.

Questo dipinto fu visto da Benedetto Croce, nel 1904, sostenendo che  “rappresentava il trionfo navale del re di Napoli Ferrante I di Aragona su Lorenzo de’ Medici”. Dunque, fu Filippo Strozzi che richiese il dipinto, per commemorare Lorenzo, giunto a Napoli nel 1479, a trattare la pace con gli Aragonesi, con la mediazione dello stesso Strozzi, il quale portò il dipinto con sé a Firenze, facendolo collocare nel suo nuovo Palazzo in costruzione.

Di altro avviso è il materano Vittorio Spinazzola, il quale legge nella Tavola il “Ritorno trionfale della flotta aragonese dalla vittorioso battaglia di Ischia del 1465”.