Napoli la Basilica della Santissima Annunziata Maggiore
E’ situata nel quartiere Pendino, vicino a Forcella, nel centro storico di Napoli; risale al XIV secolo (1318) con gli Angioini regnanti. Già all’epoca il complessi basilicale comprendeva, oltre all’annessa chiesa, anche un ospedale, un convento, un ospizio per i trovatelli ed un “conservatorio” per le esposte, cioè quelle ragazze povere, senza alcun famiglia, che venivano ospitate per preservarne la virtù, per poter convolare a nozze illibate, alle quali la chiesa forniva anche una piccola dote. E’, quindi, una vera e propria istituzione per l’assistenza dell’infanzia abbandonata.
Il complesso, e la chiesa soprattutto, ha subito, nel corso dei secoli, ripetuti rimaneggiamenti, per ultimo, dopo un incendio del 1757, per opera dei famosissimi architetti napoletani Luigi e Carlo Vanvitelli, padre e figlio.
Dal portale di marmo, opera dell’architetto comasco Tommaso Malvito o Malvico, con i suoi bellissimi battenti in legno, intagliati dallo scultore bergamasco Pietro Belverte nel XVI secolo, si entra nel monumentale cortile della Casa e alla “ruota lignea”, il famoso cilindro di legno con due apertura poste l’una all’esterno e l’altra all’interno, dove venivano lasciati bambini, per lo più neonati, figli di povera gente che, per la gran miseria, non potevano crescerli o figli illegittimi o figli indesiderati, e presi dal lato interno della ruota da balie, pronte ad accoglierli ad ogni suonata di una piccola campanella, messa lì per lo scopo. Questi bambini ospitati dall’istituzione erano chiamati “figli della Madonna” – “’e figli d’’a Nnunziata” oppure “esposti” – da qui poi i vari cognomi di origine napoletana di: Esposito – Esposto – Degli Esposti – Spòsito o Sposìto – etc. –
Ad alcuni bambini legavano al collo un foglio di carta con il nome dei genitori, o veniva lasciato loro addosso qualche pezzo di oro o di argento, quali segni di un futuro riconoscimento quando i genitori naturali vivevano momenti di maggior fortuna e, quindi, sussisteva la possibilità di accoglierli in seno alla propria famiglia; altri non avevano alcun segno di riconoscimento. Il tutto, a partire dal giorno ed ora in cui venivano abbandonati, da ciò che indossavano o da quello che veniva loro trovato addosso e qualsiasi altro segno particolare quale una moneta tagliata a metà, era minuziosamente registrato in un libro, per rendere più facile, poi, un eventuale riconoscimento.
La ruota, sebbene triste e doloroso fosse il suo uso, aveva egualmente creato un suo particolare fascino, tanto da diventare ben nota in tutta Italia; non venne più utilizzata sin dal 22 giugno 1875, ma ciò nonostante, l’abbandono dei neonati continuò per moltissimo tempo ancora lasciandoli di notte sulle porte d’ingresso o sulle scale della chiesa .