Napoli Il Duomo

-) I lavori per la costruzione del Duomo cominciarono con Carlo I d’Angiò verso la fine del 13 sec.; continuarono con Carlo II e furono completati da Roberto d’Angiò nel 1313.   La sua realizzazione avvenne sulle rovine della basilica della “Stefanìa – (d) – ” e conglobando il Battistero di San Giovanni in Fonte, posto sul lato destro della Basilica di Santa Restituta, la prima e la più antica tra le basiliche paleocristiane, cioè costruite ai primi avventi del cristianesimo a Napoli, voluta dall’imperatore Costantino I° il Grande, e costruita con il materiale ricavato dall’abbattimento del tempio di Apollo e di Nettuno, disponendo, poi,  la traslazione  delle reliquie della Santa dall’isola di Ischia a Napoli.  Santa Restituta fu, quindi, per Napoli  anche la prima santa più importante (o, se si vuole, anche la prima protettrice).  Successivamente fu anche denominata:

a) Chiesa di Santa Maria del Principio, perché vi fu aggiunto l’Oratorio di Sant’Aspreno, primo vescovo di Napoli – molto caritatevole verso i poveri e disponibile verso tutti senza tener conto del loro ceto sociale, e di San Candida (la Vecchia), prima cristiana a Napoli, guarita da una grave malattia dall’apostolo  Pietro e morta martire nell’anno 78, con Vespasiano imperatore;  nella piccola abside si trova un mosaico raffigurante “La Madonna tra San Gennaro e Santa Restituta”, opera di Lello da Orvieto del 1322.

b) Chiesa di San Salvatore (forse, costruita proprio in suo onore) per la bellissima immagine di nostro Signore;

c) fra le due fu anche la Chiesa di San Lorenzo, per la costruzione, ai primi del 900, di una nuova cappella, dedicata al santo.

d) “La Stefanìa” , in onore del vescovo Stefano I , che volle la sua realizzazione tra il 499 ed il 501; era divisa dalla Basilica di Santa Restituta soltanto da una strada dell’epoca imperiale (vi restano alcune tracce), ma ad essa  unita da un atrio in comune, con quattro portici, tutto decorato con mosaici.  Agli inizi del 500 fu ampliata ed abbellita da Stefano I e, nell’anno 764, fu ricostruita dal vescovo Stefano II° perché distrutta da un incendio causato da un cero pasquale lasciato acceso nella notte del Sabato Santo –.      Qualche storico sostiene che il nome di “Stefanìa” o “Chiesa delle Corone” è da attribuire al nome greco “Stefanos” che in italiano significa “Corona”, perché davanti all’immagine del Salvatore vi erano i 24 anziani dell’Apocalisse (Rivelazione), dipinti, con vesti bianche e candide, genuflessi verso Dio al quale offrono corone in dono; tale gesto viene ripetuto annualmente, per un lungo periodo, dai fedeli napoletani con offerte di corone di oro e di argento, ancora ben conservate nella “Cappella di Santa Restituta”. Nella prima metà del IX secolo, il vescovo San Giovanni IV, lo Scriba, trasferì nella basilica della Stefanìa i resti mortali di vescovi suoi predecessori, trasportandoli dalla “cripta dei vescovi”, cioè dalle catacombe di San Gennaro a Capodimonte.

Della Chiesa della Stefanìa, a seguito dei danni provocati da un catastrofico terremoto non esiste più niente, tranne qualche porzione di pavimento, qualche colonna e qualche capitello, ancora oggi ben visibili.

-) -) -) Per la progettazione del Duomo e per i primi lavori, soprattutto con Carlo II d’Angiò, ci si rivolse ad architetti ed a manovalanza di origine francese, dedicando il Duomo alla Vergine Assunta. Alla fine, però, con Roberto d’Angiò regnante, fu utilizzata manodopera locale ed architetti  napoletani come Masuccio I, il cui progetto prevedeva la costruzione del Duomo, in stile gotico, in mezzo a quattro piccole torri, come una fortezza, con forme a sesto acuto tanto in voga a quei tempi; anzi, questo stile architettonico essendo stato dal Masuccio rinnovato e migliorato proprio con il Duomo di Napoli, fu denominato  “Architettura Angioina”.

-) Il Duomo fu severamente  danneggiato dai vari terremoti che si susseguirono nel corso degli anni; una forte scossa tellurica, a poco più di 35 anni dalla fine dei lavori (1349), fece crollare la facciata ed il campanile; ancora, successivamente, verso la metà del XV sec., altra scossa fece crollare gran parte della navata.

-) Fu oggetto anche di diverse modifiche rispetto al progetto originario durante le ricostruzioni sia per gli accorgimenti antisismici, sia per gli stili architettonici in voga al momento e sia per le bizzarrie, stravaganze e capricci dei vescovi in carica al momento.

-) Nel 1456, infatti, dopo l’ennesimo danno da terremoto, Alfonso I d’Aragona lo fece restaurare anche con l’aiuto economico di tanti nobili napoletani (i Balzo, i Caracciolo, gli Orsini, i Pignatelli, ecc.), ai quali, in segno di ringraziamento, venne concesso di scolpire sui pilastri i loro stemmi gentilizi al posto di tante rilevanti testimonianze e notevoli monumenti   artistici ivi esistenti.

-) Durante uno degli ultimi restauri effettuati tra il 1969 ed il 1972, per porre riparo ai danni provocati dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, vennero rinvenuti reperti archeologici di epoca romana, greca e dell’alto medioevo, ora ben conservati in apposito locale nello stesso Duomo.

-) L’interno del Duomo è lungo circa 100 mt. con cappelle laterali; è a forma di croce latina a tre navate; la navata centrale è larga 15 metri, le navate laterali 7,25 metri, ciascuna intervallate da diciotto pilastri, otto per ogni lato, su ciascuno dei quali è posto un busto dei vescovi napoletani e sui quali poggiano i decoratissimi archi ogivali;  ogni pilastro è attorniato da colonne di granito ben disposte: ve ne sono ben 110 ricavate dall’abbattimento della “Chiesa della Stefanìa” .

Sull’arcata di sinistra è collocato una “Fonte battesimale settecentesca”, un pregevole vaso di basalto egiziano, di epoca greco-romana adibito a riti pagani, che ora regge un bronzo raffigurante “il battesimo di Gesù”, che prima faceva bella mostra di sé nel Battistero di San Giovanni in Fonte, nella Basilica di Santa Restituta.

Nella navata centrale e nella crociera i preziosi dipinti sono di Luca Giordano e dei suoi discepoli; la statua dell’Assunta, in stile barocco, posta sull’altare maggiore è opera di Pietro Bracci, scultore romano, molto noto all’epoca per essere stato anche l’autore della statua del Nettuno, posta nella “Fontana di Trevi” a Roma e della statua di “Papa Benedetto XIV in San Pietro.

-) Nei pressi dell’altare maggiore vi sono due organi: a) quello di destra, voluto dal cardinale Ranuccio Farnese, è opera di Fra’ Giustino da Parma – sotto di esso si trova un pulpito di marmo, lavorato dallo scultore napoletano Annibale Caccavello; b) quello di sinistra, voluto dal cardinale Ascanio Filomarino, è opera dell’artista napoletano Franco Pompeo – sotto il quale si trova un trono arcivescovile di marmo, finemente lavorato da scultore sconosciuto.

-) All’interno, partendo dalla porta maggiore, elenchiamo le diciotto cappelle, poste ai lati delle due navate, e per tre di esse, ne parleremo a parte in modo più approfondito   (Cappella di Santa Restituta, la Cappella del Succorpo di San Gennaro e la reale Cappella del Tesoro di San Gennaro) .

1) A partire dalla destra della navata centrale, la prima cappella è dedicata a San Nicola di Myra o San Nicola di Bari, sul cui altare vi è una tela raffigurante il Santo, opera del pittore salernitano Paolo de Matteis; alle pareti dipinti con scene della sua storia, opera di Santolo Cirillo da Grumo Nevano (NA). La costruzione della Cappella all’interno del Duomo fu voluta dai Carafa, cardinali e principi di San Lorenzo.

2) Seguendo, troviamo la cappella del Crocifisso o dell’Addolorata o dei Caracciolo perchè custodisce le tombe dei due Caracciolo Pisquizy, Cavalieri dell’Ordine del Nodo (la denominazione deriva dal fatto che  una cordicella, intrecciata di seta e d’oro con applicazione di perle, veniva annodata al braccio o al petto del cavaliere, dopo il giuramento di fede). Le due statue poste diritte sulle tombe, che rappresentano la Mansuetudine e la Fortezza, sono opera dello scultore Tino di Camaino da Siena. Il paliotto, cioè il pannello decorativo posto sotto l’altare, risalente al seicento, ritraendo la La deposizione del Cristo morto” , è dell’architetto Cosimo Fanzago da Clusone (BG). Le tele che raffigurano “Gesù nel Getsemani e Gesù che viene fatto carico della croce sono del beneventano Michele Foschini.  In questa cappella viene custodito un piccolo quadro  della Vergine Addolorata, portato nel Duomo nel 1809 perché era appartenuto ad una donna molto religiosa che vide scendere delle gocce di sudore dalla fronte della Vergine attraverso la tela del quadro.

3) Cappella dello Spirito Santo o della famiglia Galluccio, che ne aveva il patronato, o della Pentecoste, per il dipinto posto sopra l’altare, o delle reliquie per le tante fatte conservare dal Cardinale Guglielmo Sanfelice prelevate dai vari monasteri soppressi o dalle chiese abbattute. Ammirabile opera d’arte è la “stauroteca di San Leonzio” del XII secolo, un reliquiario a forma di Croce, contenente un piccolo frammento della Santa Croce; alla base statuine di dolenti. E’ lavorato con oro filigranato, con argento in rilievo e cesellato, con smalti, gemme e perle.    Il dipinto posto sull’altare dellaDiscesa dello Spirito Santo sugli Apostoli”, è del pittore napoletano Andrea Malinconico.

-)-)-) Dopo questa Cappella, vi è un ambiente denominato “Oratorio dell’arciconfraternita dei Bianchi del Santissimo Sacramento” ; era in realtà un ambiente di servizio, chiamato “lo scolatoio”, perchè si ponevano a decomporre ed a disseccare i cadaveri, per lo più di preti, di suore o di persone molto legate alla chiesa.                                                                                                  

4) Segue la Cappella dei Santi Tiburzio e Susanna, martiri durante le atroci angherie di Diocleziano contro i cristiani. La cappella è detta anche della famiglia Carbone perché, al centro, è posto il sarcofago del cardinale Francesco Carbone del 1405, opera del pittore e scultore laziale Antonio Baboccio da Piperno.      

-)-)-) Arriviamo, così, all’ingresso meridionale che immette in piazza Sisto Riario Sforza, in cui si trova la guglia di 24 mt. di altezza, dedicata a San Gennaro, decorata con grandi spirali, un capitello ionico e dei puttini che reggono il simbolo del Santo, mentre la statua di San Gennaro che si trova su in cima è di Tommaso Montani, su disegno di Cosimo Fanzago. Al posto di questo ingresso si erigeva il campanile che crollò nel 1349.

5) La Cappella della Maddalena il cui nome deriva dal quadro di Maria Maddalena posto sull’altare, una pregevole tela del ‘600 del pittore napoletano  Nicola Vaccaro; la cappella aveva il patronato della famiglia Crispano prima e quello dei Duchi di Miranda poi. Tra il  transetto e la navata è posto il monumento sepolcrale del Cardinale Antonino Sersale, arcivescovo di Napoli, il cui dipinto è opera del pittore e scultore napoletano Giuseppe Sammartino (molto noto a Napoli per essere anche un bravissimo intagliatore di figure per presepi, tanto che alcune sue creazioni sono esposte nel Museo di San Martino).   

-)-)-) Si entra nel transetto e, sempre partendo da destra, la prima cappella che incontriamo è:

6) La Cappella dell’Annunziata così detta per una tela del pittore napoletano Nicola Maria Rossi del 1744, posta sull’altare. Alle pareti, alcuni brandelli di affreschi del ‘400 raffiguranti Sant’Antonio Abate, San Girolamo, l’Annunciazione ed il Crocifisso. E’ anche detta Cappella della famiglia Giosuè Caracciolo dei Rossi, una delle più antiche ed illustri di Napoli.

7) La Cappella dell’Assunta (già del Crocifisso) per la bellissima tela raffigurante la Vergine, del XVI sec., attribuita al noto e famoso pittore “il Perugino” (al secolo, Pietro di Cristoforo Vannucci, di Città della Pieve – PG-). E’ appartenuta anche alla famiglia dei Baraballo, poi a quella dei Caracciolo e dei Di Franco e, infine, a quella dei Milano, di origine spagnola, il cui nome da Milà fu trasformato dai Napoletani in Milano, trasferitasi nella città di  Napoli per seguire re Alfonso d’Aragona;  furono marchesi di San Giorgio Morgeto (RC) e principi d’Ardore (RC) All’interno vi è la tomba del canonico Pietro Capece Baraballo, quella di Enrico Capece Minutolo e della moglie Bardella Piscicelli.

8) Segue subito dopo la Cappella dei Capece Minutolo, principi di Canosa; è forse la più antica delle cappelle costruite all’interno del Duomo, che originariamente altro non era che una delle due torri campanarie dell’antica Basilica della Stefanìa, abbattuta perché fortemente danneggiata da una forte scossa sismica. All’interno, sulla parte superiore delle pareti, troviamo alcuni affreschi di Tommaso degli Stefani, celebre pittore napoletano, raffiguranti alcuni episodi della vita di Gesù, la crocifissione di San Pietro, la decapitazione del Battista e la morte di Santo Stefano primo martire; nella parte inferiore sono ritratti, da artista sconosciuto, i personaggi più illustri della famiglia Capece Minutolo, militari ed ecclesiastici, in ginocchio in atto di preghiera; sull’altare maggiore della Cappella è stato posto il sepolcro del cardinale Errico (o Arrigo) Capece Minutolo, arcivescovo di Napoli, monumento attribuito ad Antonio Baboccio da Piperno; sul lato destro c’è la tomba dell’altro arcivescovo di Napoli Filippo Capece Minutolo, reso famoso da Francesco Boccaccio nella quinta novella della seconda giornata nel suo “Decamerone” con la novella di “Andreuccio da Perugia”; a sinistra di Orso Capece Minutolo, arcivescovo di Salerno. ), un’opera di Tino di Camaino o della sua scuola. Uscendo dalla Cappella, a destra, è posto l’altro monumento sepolcrale: “il cenotafio di Giovan Battista Capece Minutolo”, una magnifica statua uscita dalle mani dello scultore napoletano Giovanni Domenico d’Auria.

9) Segue la Cappella di Sant’Aspreno – primo vescovo di Napoli – o Cappella della Famiglia Tocco, principi di Montemiletto ( AV). Gli affreschi, che raffigurano alcune “Storie del Santo”, sono attribuite ad Agostino Tesauro, mentre “La tomba del Santo”, posta sotto l’altare, è opera dell’architetto e scultore spagnolo Diego de Siloe. La scultura raffigurante “La Madonna col bambino” che copre il sepolcro di Giovanni Iacopo Tocco è opera dell’architetto e scultore comasco Giovan Tommaso Malvito o Malvico, mentre gli affreschi riportati sulla zoccolatura  (per lo più disegni geometrici e figure di apostoli) sono attribuiti al pittore romano Pietro Cavallini.

-)  L’ABSIDE:  Nulla vi è più rimasto della vecchia struttura gotica, modificata o eliminata dalle successive opere di manutenzione e di rifacimento. Nel corso del 1500, per volontà del Cardinale Alfonso Gesualdo, fu sopraelevato il livello del piano del presbiterio per meglio aggiustare la volta della cripta ( la Cappella del Succorpo). Nel 1741, il Cardinale Giuseppe Spinelli (napoletano ed arcivescovo di Napoli, noto per aver ritrovato i resti mortali di Sant’Agrippino, uno dei primi  vescovi e santi di Napoli)  diede incarico per  altri lavori all’architetto  Paolo Posi da Siena, inclusi quelli per l’abbattimento e rifacimento della volta gotica, che fu abbassata di circa cinque metri, per l’ampliamento del presbiterio, che, con due serie di gradini venne allungato in direzione del transetto e chiuso da una balaustra di marmo, e per lo spostamento, dalla navata maggiore nella tribuna, del coro, magnifica opera di Marco Antonio Ferraro, fatta eseguire, tra il 1616 e 1617, dal Cardinale Decio Carafa. In quel periodo fu anche trasformato l’aspetto dell’altare maggiore per mano di  Nicola de Blasio e dello scultore romano Pietro Bracci - di quest’ultimo è anche  la statua dell’Assunta sull’altare (vedi sopra);  sulla parete di sinistra vi è la raffigurazione della Traslazione delle reliquie di Santo Acuzio e Santo Eutichete”, opera attribuita al pittore pugliese di Molfetta (BA) Corrado Giaquinto; nella volta sono visibili alcuni affreschi del pittore romano Stefano Pozzi, a cui viene attribuita anche la tela esposta sulla destra, raffigurante “San Gennaro e Sant’Agrippino che scacciano i saraceni”.   -) Le reliquie di questi Santi sono custodite nel retro dell’altare . Le due preziose colonne di diaspro rosso (un tipo di quarzo), poste agli angoli davanti all’altare in luogo dei candelabri,  furono trovate durante lo scavo per le fondamenta della chiesa di “San Gennariello all’Olmo” e furono donate al Cardinale Guglielmo Cantelmo.

10) Si passa sul lato sinistro del transetto e la prima che s’incontra è la Cappella della Famiglia di Capece Galeota, duca della Regina, di Apice e di Popoli, principe di Acaia e Montemiletto, conte di Montaperto. la Cappella è chiamata anche del Salvatore Vetere o di Sant’Attanasio. E’ ammirabile, dietro l’altare ,  la statua in stile barocco della “Madonna con il Bambino”, risalente al XV secolo, opera del pittore salernitano Pietro Bifulco; a sinistra, si trova, sopra,  la tavola, che ritrae  la “Madonna delle Grazie con Rubino Galeota in ginocchio (forse, aggiunto successivamente)e, sotto, il sepolcro di Giacomo Capece Galeota, opera dell’architetto, scultore e pittore napoletano Lorenzo Vaccaro, di fronte, invece, si trova l’altro monumento sepolcrale di Fabio Galeota di Cosimo Fanzago. Sulle pareti vi sono affreschi del pittore napoletano Andrea di Leone, risalenti al 1400, riportanti alcune Storie della vita di Sant’Atanasio, vescovo di Napoli, più volte restaurati. In questa Cappella si trovano anche i corpi di Santi vescovi di Napoli:  Sant’Atanasio, San Giuliano, San Lorenzo e Santo Stefano.

-) Uscendo, sul pilastro, la piccola cappella con altare  dei Loffredi scolpito dai  fratelli  Bartolomeo e Pietro Ghetti da Carrara (MC), con un quadro di San Giorgio dipinto da Francesco Solimena.

11) Segue la Cappella di San Lorenzo (già Cappella di San Paolo) o degli Illustrissimi perché sede della Congrega degli Illustrissimi ed alle riunioni dei preti missionari. Un tempo ha custodito il sepolcro di Papa Innocenzo IV, poi spostato davanti all’ingresso. La cappella è anche denominata “San Paolo de Humbertis”, in onore del vescovo Umberto d’Ormont.  Sulla controfacciata si trova un grandioso e bellissimo  affresco del 1315,  attribuito all’artista Lello d’Orvieto o Lello de Urbe (all’epoca molto attivo a Napoli e nel Lazio) : “L’Albero di Jesse” (ossia l’albero genealogico di nostro Signore che nasce dal seno di Abramo che giace a terra supino – è il simbolo citato nella Bibbia che rappresenta le generazioni, così come narrate nella Bibbia stessa, a partire dai profeti fino a Gesù Cristo. Infatti Jesse era il padre Davide e fondatore della stirpe fino ad arrivare alla Vergine Maria ed a Gesù).

-) Sull’altare il trittico del XVII secolo, che ritrae la “Visita di Maria a Sant’Elisabetta tra San Nicola e Santa Restituta”, è opera del pittore napoletano Giovannantonio Santoro (è il solo quadro di questo artista in tutta Napoli).     Gli affreschi riportati nell’arco sopra l’altare sono attribuiti al pittore fiorentino Giovanni Balducci.

-) Si incontra poi la porta della Sagrestia Maggiore, che originariamente, per volere di Carlo II d’Angiò, era la Cappella di San Lodovico; più avanti all’interno si trova un’altra piccola cappella dedicata a Santa Maria del pozzo, ai cui lati vi sono due armadi in legno di noce, con all’esterno intagli, effettuati da mano esperta, dei busti di santyi e vescovi napoletani: Sant’Eufebio o Sant’Efebo, San Severo, Sant’Agnello e Sant’Attanagio, mentre, nella parte interna, sono intagliati scene di miracoli degli stessi santi e la scena della traslazione del corpo di Sant’Attanagio dall’abazia di Montecassino al Duomo di Napoli. Gli armadi custodiscono anche vari busti di argento, suppellettili e paramenti sacri, tra cui una croce d’oro del VII sec., voluta dal vescovo San Leonzio, su cui sono raffigurati i quattro evangelisti e, sul retro, i loro simboli. In una piccola nicchia è custodito un busto in bronzo di S.Gennaro, i cui ricami ed ornamenti riportati sulla mitra e sul piviale (copricapo e mantello liturgico) fanno pensare ad un artista bizantino o qualcuno così bravo da copiarli da qualcosa di più antico.

-) Sulla parete di destra, accanto alla porta, troviamo una Tavola centinata (cioè con la parte terminale ricurva) su cui è dipinta la “Vergine Assunta festeggiata dagli Angeli” e, in basso, “San Gennaro che indica alla Vergine il cardinale Oliviero Carafa in ginocchio”; l’opera, per volere di quest’ultimo, fu eseguita da Pietro Perugino (1460).

Poco più avanti si trova il monumento sepolcrale di Papa Innocenzo XII – al secolo Antonio Pignatelli da Spinazzola (BA).

Giungiamo, così, alla Porta laterale che conduce nel viale della Curia Vescovile. Superata questa Porta, incontriamo :

12) la Cappella di Santa Maria Maddalena o della Famiglia dei Seripando, che custodisce le tombe monumentali cinquecentesche di Scipione e dell’Abate Francesco Seripando; gli affreschi sono del pittore fiorentino Giovanni Balducci, a sinistra Sant’Agnello e, a destra, San Gennaro tra un bambino (si ipotizza che sia il cardinale Ascanio Filomarino) che sorregge l’ampolla del sangue ed il cardinale Gesualdo genuflesso. Dal 1990 la Cappella è dedicata a San Gennaro.

13) Accanto si trova la Cappella Brancaccio, costruita su progetto di Giovanni Antonio Dosio, architetto e scultore di San Gimignano (SI).  In questa Cappella si trova il sepolcro di Alfonso Gesualdo, arcivescovo di Napoli, e, in epoca successiva, furono aggiunte le tombe del cardinale Guglielmo Sanfelice (m. 1897) e del cardinale Alessio Ascalesi (m. 1952); le statue di San Pietro e di San Paolo sono attribuite a Pietro Bernini, mentre le statue del cardinale Gesualdo, in posizione supina, e quella di Sant’Andrea, in posizione eretta, sono di Michelangelo Naccarini, scultore fiorentino – il dipinto posto sull’altare e raffigurante il “Battesimo di Gesù” è di Francesco Curia.

14) Superata la chiesa di Santa Restituta, di cui parleremo più avanti, troviamo la Cappella della Famiglia Teodoro  – già della Famiglia Gambacorta – ed è dedicata a San Tommaso, per il fatto che, sull’altare, è posto un dipinto su tavola, opera  del 1573 di Marco del Pino da Siena, raffigurante Gesù tra gli apostoli e San Tommaso che gli tocca con la mano la piaga del costato; il paliotto sotto l’altare, che viene attribuito, con molto dubbio, a Giovanni Merliano da Nola (NA) raffigura Cristo Gesù che viene deposto nel sepolcro.

15) L’ultima delle cappelle minori, è la Cappella dei Filomarino e, solo più tardi (1847) viene dedicata a Santa Maria Francesca dalle cinque piaghe (m. nel 1845). A sinistra vi è la tomba di Loffredo Filomarino, un notabile del Duca di Calabria, e, sopra, la lapide della figlia Trudella. Sul pavimento, per volontà del cardinale Sisto Riario Sforza, arcivescovo di Napoli, è stata posta la tomba del vescovo napoletano Giuseppe Maria Trama (m. 1848), molto seguace e devoto della “nuova Santa”.