Napoli il cimitero delle fontanelle .
E’ un luogo già inserito nella visita guidata del “Miglio Sacro”. Si trova nel “Rione della Sanità”, una zona in cui è tenuto in gran c considerazione il culto dei morti, un culto misto tra religione e magia.
Il cimitero, ricavato in una cava di tufo, è un immenso ossario composto da migliaia e migliaia di ossa lunghe e teschi, eccezion fatta per i corpi interi e vestiti di Filippo Carafa e di sua moglie Margherita, custoditi in bare aperte protetta da vetri. Sono corpi mummificati e Donna Margherita ha la bocca aperta, perché – si racconta – sia morta mentre mangiava, soffocata da uno gnocco.
Il cimitero prende questo nome perché, proprio in quel luogo, vi era la formazione di abbondanti sorgenti e fonti d’acqua, in periodi in cui a Napoli l’acqua scarseggiava.
Tra il 1600 ed il 1700, fu destinato ad accogliere i corpi della povera gente, ma, soprattutto per mancanza di spazio, ad accogliere tanti altri corpi di coloro che furono colpiti dalla forte pestilenza del 1656, che provocò oltre trecentomila morti, da terremoti e da eruzioni del Vesuvio.
Anche i corpi di tanti nobili, però, venivano sepolti nelle cave o nelle catacombe, sebbene pagassero profusamente la loro sepoltura nelle chiese; ma per motivi di igiene e per evitare che tutti i nobili disponessero la loro sepoltura avvenisse soltanto in questi luoghi sacri, dopo i funerali, nottetempo, gli addetti ai lavori toglievano i corpi dalle loro tombe e li trasportavano in posti più capienti.
A seguito di un improvviso e quanto inaspettato allagamento della cava, galleggiavano a pel d’acqua tante “Capuzzelle”, cioè tanti piccoli teschi; appena l’allagamento rientrò, fu disposta la raccolta dei teschi e delle ossa, fu costruito un muro di contenimento e sistemate tutti quei migliaia e migliaia di resti umani rinvenuti, accatastando l’una sull’altra le ossa lunghe, tante solo raccolte in appositi contenitori e mettendo in fila tutti i teschi. L’altare che vi fu costruito è perché quel luogo fu definitivamente riconosciuto come ossario della città di Napoli.
In questo luogo furono sistemati anche tutti i resti mortali ritrovati nelle chiese o durante gli scavi archeologici o durante lavori di manutenzione di qualche grande edificio, come il Maschio Angioino, e persino le vittime della successiva ondata di pestilenza del 1836, perché l’editto di Napoleone di Saint Cloud nel 1804 vietò il seppellimento di cadaveri dentro le mura della città e, soprattutto, nei luoghi pubblici.
Il cimitero è composto da tre gallerie, a forma di trapezio, ciascuna con una lunghezza di oltre 100 metri ed una’altezza che varia dai 10 ai 15 metri, intersecate da una serie di corridoi.
Si tramanda che qualcuno, rimasto anonimo, nell’ottocento, armato di tanta pazienza e di tanta buona volontà, fosse riuscito a contare tutte quelle ossa umane: erano circa 8.000.000 di resti mortali. Oggi se ne contano poco più di 40.000, perché, così come si tramanda, fu disposto che una grandissima quantità di ossa fossero seppellite in quel luogo a quattro metri di profondità.
Fra i tanti teschi esposti, l’unico che ha creato intorno a sé una gran fama, seppur tenebrosa, è il “Teschio del capitano”, che, adagiato in una teca di vetro, si distingue dagli altri, opachi e coperti di polvere, perché è sempre lucido e madido di sudore (forse era la condensa per la forte umidità del luogo). Molte sono le leggende e tutte collegate anche alla bara posta sotto la statua di Gaetano Barbati, il canonico che organizzò le squadre dei fedeli per sistemare le ossa.
a) Si narra che una giovane donna, prossima alle nozze, si recasse a pregare presso il teschio del capitano per ottenere grazie. Il suo fidanzato, infastidito da tante preghiere e, forse, anche un po’ geloso, accompagnò un giorno la fidanzata al cimitero; giuntovi, prese una canna di bambù e la conficcò nell’occhio cavo di quel teschio, deridendolo ed invitandolo, in tono scherzoso e beffardo, al suo imminente matrimonio.
Durante i festeggiamenti di quel matrimonio, si presentò un signore, in divisa di carabiniere, che nessuno conosceva; fu invitato, quindi, a dichiarare chi fosse. Il carabiniere, nel ricordare allo sposo che era stato proprio lui ad invitarlo al matrimonio, si tolse la divisa ed apparve lo scheletro del capitano: morirono all’istante gli sposi e forse anche tanti ospiti.
b) Altra leggenda, che, all’epoca, riscontrava una forte credenza popolare, fu messa in scena teatrale dal regista napoletano Roberto De Simone: si vuole che un giovane camorrista di quel tempo, cattivo e donnaiolo, profanasse spesso quel luogo facendovi l’amore anche sulle bare. Per questa sua abitudine fu più volte rimproverato dalla tetra voce proveniente dal teschio del capitano; ma il giovane, beffardo, derise il capitano, affermando di non aver assolutamente paura dei morti ed, alla fine, anche lui lo invitò al suo matrimonio, giurando, in cuor suo, che non si sarebbe mai sposato. Ma dimentico di tutto, il giorno del matrimonio arrivò anche per il giovane camorrista, il quale, ai festeggiamenti, si ritrovò davanti una persona austera e vestita di nero, che non ricordava di aver invitato; all’attesa domanda di far conoscere la sua identità, l’uomo in nero dichiarò di aver un particolare regalo da offrire agli sposi in un luogo appartato e lontano dagli altri invitati.
Fu ricevuto, dunque, in una camera a lato, in cui si rivelò; i giovani lo riconobbero subito e quando il capitano tese loro le mani caddero morti all’istante.
Ma il Cimitero delle Fontanelle resta famoso a Napoli perché prese piede la stessa la gara di solidarietà per l’adozione dei teschi e per le tantissime preghiere da recitare per quelle povere anime povere e sconosciute, le cosiddette ”anime pezzentelle” (anime povere), della “chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco – A cchiesa d’’e Cape ’e Morte” (ved. Le pagine: altre basiliche e chiese più note di Napoli).
Il rituale anche qui è uguale: il cranio prescelto veniva pulito e tirato a lucido; poi, veniva adagiato su fazzoletti o cuscini ricamati, tutt’intorno lumini e fiori, e si pregava in continuazione, per alleviare le sofferenze; ma si pregava anche per aver in cambio dei benefici: l’anima di quella capuzzella adottata doveva andare in sogno alla sua benefattrice (la maggior parte erano le donne a compiere questo rito di suffragio) e rassicurarla che avrebbe ottenuto la grazia richiesta o avrebbe dovuto donarle un po’ di fortuna con dei numeri da giocare al lotto.
Ma se tutto questo non avveniva, la benefattrice aveva facoltà di scegliere un’altra capuzzella a cui elargire il “refrisco”: tanto c’era solo l’imbarazzo della scelta.
Questa sorta di feticismo, va avanti per tantissimo tempo e soprattutto negli anni della seconda guerra mondiale e nel periodo immediatamente successivo alla fina della guerra, che aveva provocato la divisione di tante famiglie, aveva provocato tanti morti sia militari che civili, aveva causato tante disgrazie e portato tanta miseria. Nell’attesa, quindi, di un buon aiuto da parte dello Stato Italiano e/o da coloro che erano sopravvissuti ed arricchitosi con affari poco leciti, i napoletani continuarono a chiedere aiuto alla “anime pezzentelle” o alle anime dei propri cari, con la speranza che, prima o poi, come per miracolo, sopraggiungesse qualche attimo di felicità che desse un forte calcio alla miseria.
A questo misto tra tanto profano e poco sacro, pose fine nel 1969 il cardinale Corrado Ursi, vescovo di Napoli, che dispose la chiusura del Cimitero delle Fontanelle; ma le forti pressioni e richieste dei cittadini della zona, hanno “costretto” le autorità ecclesiastiche a riaprire i cancelli del cimitero – continua, così, sebbene in forma ridotta, questa tradizione napoletana, praticata, per lo più, da donne anziane.
In un latro corridoio, è ben visibile la statua di San Vincenzo Ferreri, meglio conosciuto come “o Munacone”, su cui al posto della testa (perché la statua fu decapitata) è stato collocato un teschio, il quale, illuminato da una luce proveniente dall’esterno, assume, sia la statua che il luogo, un aspetto ancor più lugubre e funereo.
Si tramanda che una delle sale di questo cimitero, quella denominata “Il Tribunale”, sia stata utilizzata, per moltissimi anni, dai camorristi , dove i giovani adepti, prestavano il loro giuramento di fede, prima di entrare a far parte dell’Associazione prescelta.