Napoli Chiesa di San Domenico Maggiore
La Chiesa è tra le più antiche ed importanti a livello artistico e storico. Le sue origini risalgono al 721 d.C., costruita e dedicata a San Michele Arcangelo a Morfisa; fu gestita, poi, dai seguaci di San Basilio e, successivamente, dai Benedettini; dal 1231 passò ai Domenicani, che l’ampliarono di molto, dedicandola al fondatore del loro ordine.
Carlo II d’Angiò, detto lo zoppo, fatto prigioniero, nel giugno del 1284, nella battaglia nel porto di Napoli da Ruggero di Lauria, ammiraglio al servizio della flotta navale degli Aragonesi, fece voto, qualora fosse stato liberato dalla prigionia, di far costruire una chiesa da dedicare a Santa Maddalena ; ad avvenuta liberazione, Carlo II conferì l’incarico per la progettazione all’architetto Masuccio I, il quale incorporò la piccola ed antica chiesa, nella nuova, a forma di croce latina, con un’unica navata, separata dalle cappelle laterali da quattordici archi a sesto acuto, che poggiano su sedici pilastri sormontati da capitelli gotici dorati.
I suoi locali furono anche sede dell’Università, dove, nel 1272, Tommaso d’Aquino insegnò Teologia e proprio quella stanza, tramutata in cappella, è tuttora visitabile; vi studiarono, fra gli altri, Gioviano o Giovanni Pontano, il maggio rappresentante dell’umanesimo napoletano e politico italiano, e Giordano Bruno, al secolo Filippo Bruno da Nola (NA), filosofo, scrittore e frate dell’ordine dei Domenicani.
Successivamente, i restauri effettuati, furono ritenuti deturpanti dagli esperti, fino ad arrivare al 1853 quando l’architetto napoletano Federico Travaglini le ridiede l’originario stile, eliminando quello gotico, ammodernandola con belle dorature, aggiungendo marmi dove mancavano, illuminando le navate e le cappelle con raffinati finestroni, a sesto acuto e/o circolari, di cristalli colorati a disegno.
Nella magnifica sagrestia vi sono ben 45 feretri “Arche”, la maggior parte contenenti i corpi di quasi l’intera dinastia dei reali Aragonesi e di altri nobili, tutti imbalsamati e rivestiti di velluto e drappi rossi; sono disposti su due file lungo un corridoio pensile, sopra a degli armadi in legno finemente intagliati e decorati.
Sul pavimento vi trova una lapide tombale di marmo di Richard Luke Concanen, irlandese, primo vescovo cattolico della diocesi di New York, che qualcuno vuole che sia morto a Napoli ed altri a New York, nel 1810.
Si narra che in un ostensorio venisse conservato il cuore di Carlo II d’Angiò, il fondatore della chiesa e del convento; non c’è più traccia. Di sicuro è che a Napoli morì nel 1309 e che fu, temporaneamente, sepolto nella chiesa da lui fortemente voluta, ma dopo un anno la sua salma fu traslata ad Ajx, nella Provenza, suolo natio dei suoi antenati.
Anche questa chiesa custodisce il suo Tesoro, il più bello che i frati domenicani abbiano posseduto; si tratta, in gran parte, di vestimenti, di arredi sacri ed apparati liturgici di oro, argento, madreperla, sete pregiate, etc. -.